mercoledì 30 dicembre 2009

Attenti al 31 sera!


Via il panico. Chiamate tutti subito: che fai per capodanno?
Al primo timido “non lo so ancora, perché...”, tagliate corto e li invitate a cena a casa vostra dicendo che dopo mezzanotte se ne possono andare dove gli pare, anzi meglio, così sistemate tutto e ve ne andate a letto. Ma
se per caso rifiutano, declassateli immediatamente e non chiamateli più fino a Marzo, alla loro telefonata “ma sei sparito!” rispondete con “scusa, ti posso richiamare?” e sparite fino a Maggio. Potete fare 3 tentativi di inviti del genere dopodiché si procede così: si prende la vostra più cara amica o la vostra compagna o vostra moglie e ve ne andate SENZA PRENOTARE, mi raccomando, in una qualsiasi SPA. Quando vi vedranno con il valigino non potranno mandarvi via e vi daranno l’unica stanza rimasta, la suite imperiale, a quel punto lei carinamente vi dirà:
- Dài non importa, proviamo da un’altra parte, questa è troppo cara!
Voi invece stoici:
- Va bene questa, mi fa portare su una bottiglia di champagne ben ghiacciato per favore, grazie signorina, dove posso prendere un pernod nell’attesa?
A quel punto ve ne andate in camera, dove, bando ai pudori, ci si spoglia in un attimo buttando tutto ovunque, (tanto dopo passa il service: siamo in suite!) e ci si infila subito in un accappatoio bianco DASH: voglio stare col turbante di spugna, tutto il giorno fino alle 20, ora dell’eventuale telegiornale, tra le mani di una professionista sconosciuta ucraina, ovviamente la nostra amica o compagna o moglie con uno sconosciuto russo, che non parlano nessuna lingua, manco ciao sanno dire, non fanno domande di nessun tipo come va, come non va, non intonano, afoni, gente cui puoi chiedere “mi faccia un regalo: stia zitto!” tanto non capiscono. Trattamenti previsti: saune, bagni turchi, peeling totali al corpo-mani-viso-piedi-tutto. Per pranzo, tardi, verso le 15, tanto per rifiatare, uno yogurt e BASTA. Alle 1530 si ricomincia con fanghi d’Alsazia al triplo zolfo e carbonchio, radioattivi! Esco da questa giornata che in camera ci diamo del lei da quanto non ci riconosciamo. E attenzione, il tempo d’infilarsi un abito, anche elegante perché no, smoking per noi, un medio lungo per lei, tacco 12 (ma allora devo capire che c’è dell’altro!) e ci si butta al ristorante della SPA, dove è previsto un 500 grammi di caviale cadauno, non succedaneo, e ovviamente cadaune Magnum di Krug. Età media 90, abbassata da due nipotini viziati presenti in sala, che si annoiano e si tirano il caviale in faccia subito redarguiti e immobilizzati con una spruzzata di Serenase in faccia dal russo di prima (un po’ Viggo Mortensen). La serata prosegue con un’orchestra in frac che esegue il concerto di Capodanno di Vienna, con lo stesso programma. Alle 23 potete chiudere i cellulari: così tutti i vostri amici che ieri nicchiavano e adesso si stanno rompendo le scatole ci rimangono male che non rispondete e che anzi siete chiusi. A mezzanotte e 1, via! O si prosegue la conversazione con qualche persona VERAMENTE SIMPATICA E INTELLIGENTE o ci si fionda a letto sfondati ed ebbri. La sera del 31 è solo un ricordo. Domani è già l’UNO ED È TUTTO FINITO!
AUGURI...

martedì 22 dicembre 2009

Consigli per gli acquisti. Isterici.


I regali dell’ultimo minuto, quelli fatti nel pomeriggio del 24 con le saracinesche in chiusura, sono i migliori perché sono carichi di adrenalina: quando vengono aperti le confezioni esplodono, i pacchi volano, la carta si autostraccia in pochi attimi. Per farli bisogna avere le idee chiare, e nel negozio si saltano le formalità tipo “volevo sapere se per caso avevate...”, e si urla direttamente al primo sguardo del commesso ciò di cui abbiamo bisogno! Quindi, sempre seguendo l’ormai famosa regola della quantità applicata al materiale di consumo, ecco altri consigli per il regalo isterico, quello che farà urlare voi in negozio e i vostri cari sotto l’albero:
10 quaderni a righe Moleskine, schicchissimi.
100 matite Faber Castell, quelle gialle.
60 bicchieri di Ikea modello Optimal, appena vi ringrazia, ne rompete uno APPOSTA!
100 candele sempre Ikea, modello Julros, rosse, solo rosse!
Tutte le 4 cornici da tavolo di Muji, di misure diverse ma con la stessa foto dentro, la vostra!
100 capsule Nespresso, what else. Soprattutto se non ha la macchinetta, così se la sceglie e se la compra lui.
Una radio di qualsiasi modello e colore ma sempre e solo Tivoli.
A qualche Nonna un rosario, ma di diamanti!
A un uomo 10 schiume da barba: un regalo lungo un anno.
A una donna 10 creme idratanti notte di Shiseido: un regalo lungo un mese. Mai l’antirughe, mai.
E ovviamente, alle persone serie, quelle che non cambiano MAI profumo ottenendo anche l’effetto di farsi riconoscere anche a distanza di metri e a volte di anni, gli regalate la magnum di quello che usano, non quello che piace a voi: uno per tutti? Oyedo. Unito a un quadruplo filo di perle nere non coltivate, e a una veretta di diamanti di Tiffany. Ma qui stiamo parlando del regalo alla donna della vostra vita...

giovedì 17 dicembre 2009

La coppia più bella del mondo!


Se per giustificare il tradimento (uno solo?) del golfista più famoso del mondo Tiger Woods che alla moglie ha riservato un piccola distrazione, si è scomodato lo zoologo Desmond Morris e le sue teorie, qualcosa vorrà dire. Insomma noi uomini non ce la facciamo e non ce la faremo mai. Anche se siamo sposati alla donna più bella del mondo, la più desiderabile, la più charmante, quella giusta, che ci fa fare bella figura con gli amici ma anche con i datori di lavoro, quella che ci viene a prendere alla stazione ma anche all’aeroporto, che ci tiene il portone aperto quando rientriamo a casa il sabato carichi dei sacchi della spesa, quella che ci consola se abbiamo un problema di lavoro e che cucina a tutti i nostri amici durante l’intervallo del derby, disturbando soltanto per chiedere solo quanto manca alla fine del primo tempo per regolarsi e buttare la pasta, insomma LA DONNA DELLA NOSTRA VITA, noi sappiamo che NON girarci per guardare meglio una bella ragazza che ci è appena passata accanto è uno sforzo impossibile e alla fine, ci giriamo. Come è possibile? La teoria enuncia proprio questo: l’uomo non può. È più forte di lui, stiamo parlando di centinaia di migliaia di anni fa, quando l’uomo andava a caccia e la donna era in una caverna senza il CaldoBagno De Longhi ad accudire i cuccioli d’uomo cucinando qualche avanzo in attesa delle nuove provviste, appunto. E andava bene così. L’uomo, tra una caccia e l’altra, vuoi che non adocchiasse qualcun'altra cui fare una carezza e poi, oplà, 9 mesi dopo una sorpresina? E lui dov’era finito?
- Papà faceva il cacciatore, altro non so... - era la risposta della madre.
Ecco perché ancora oggi, parlando con gli amici durante le riunioni, quando il capo riceve una telefonata, tutti ci chiediamo, scandendo le parole, come fossimo davanti a un giudice con una codona di paglia mai vista: “Ma io, con una scappatella, io cosa tolgo? Niente, non tolgo niente! Mi creda, Vostro Onore!”. Niente, non ce la facciamo, il controllo non ci appartiene, del resto Nonna lo diceva sempre: “è peggio il pensiero del corno!” e io rosico anche per questo. Alle donne non puoi rimproverare nemmeno il pensiero, perché non lo capirai mai! Prendete la Paolina Borghese del Canova su quel materassino adagiata mollemente alla Galleria Borghese, sembra eccitata o quantomeno pronta a un incontro, no? Eppure se glielo chiedete lei dirà che “Noo, sono solo stanca e mi sto riposando un po’...”. Vallo a dire a un uomo che deve incontrare una donna da lì a poco, lo vedi che sbava da un’ora prima, che agita la coda, che batte le mani, che non capisce più niente, insomma glielo leggi in faccia! Non ce la facciamo. È più forte di noi, e lo dice pure Desmond Morris. E allora, consoliamoci con il finale di questa storia: la moglie di Tiger Woods, coperta da chissà quali baguettes di Cartier, alla scoperta del tradimento non ha esitato a sbattergli la sacca del golf in testa insieme a tutte le mazze, comportandosi come in una vignetta dell’Angolo del Buonumore della Settimana Enigmistica. O come in una scenetta di Sandra Mondaini e Raimondo Vianello. La coppia più bella del mondo!

mercoledì 2 dicembre 2009

Una vespa da Babington's


Prendete una bella ragazza, bionda, alta, su una vespetta 50 a 3 marce, con il faro tondo davanti, color blu brutto, diciamo celeste scuro, con la sella monoposto, scomodissima. Questa ragazza ha due gambe lunghe, i jeans Jesus che gliele fasciano come una garza, ha una pelliccia di opossum corta e stretta in vita, una nuvola di capelli biondi, il suo profumo è Anais Anais di Cacharel, e le viene sempre da ridere anche se arriva a prendermi sotto casa dove la aspetto da 40 minuti oltre l’orario deciso. Io con la camicia Brooks usata, comprata al mercato americano a Latina l’estate precedente alzandomi alle 5, il pullover con i rombi di Benetton, il marine blu con i bottoni d’oro, la barba fatta anche se non ce n’era bisogno e quindi tutto tagliato ma con un litro di Tactics pour homme di Shiseido che bruciava ma mi faceva sentire pieno di “carattere e personalità”! Con quella vespa ho imparato a stare stretti stretti su quella sella microscopica senza secondi fini, oppure a prendere la pioggia perché il parabrezza era rotto, sempre in due, uscendo da scuola, e ci veniva da ridere perché ormai eravamo fradici, e perché ti sembra bello pure quello a 17 anni. Su quella vespa ho imparato il cambio sulla manopola a sinistra e il freno a pedale a destra sulla scocca. Ho imparato a rimanere con il filo del gas in mano, e anche a rimanere senza cambio perché si era rotto il filo della prima, e quindi a partire con la seconda dandosi una spinta con il piede. Ho imparato a pulire la candela con la carta vetrata per farla ripartire, e 1500 lire per una candela nuova non le spendevo.
Ma era su quella vespa che a 17 anni andavamo da Babington’s, la sala da the più famosa di Roma, e quindi del mondo, a Piazza di Spagna, a fare finta di essere lei la maitresse di “American Gigolò”, quella bionda che gli aveva “insegnato tutto, anche a fare l’amore!” e io a fare finta di essere addirittura Richard Gere prima delle lezioni!
E con quella ragazza ho imparato cosa vuol dire una donna per amico, con le confidenze reciproche senza peli sulla lingua, ma proprio senza peli, lei dell’uomo suo e io soltanto delle ragazze che mi piacevano senza speranza. Lei finiva l’ultima briciola dell’unico muffin che ordinavamo e mi diceva “questo non lo devi fare mai!”. E tutto questo sotto gli occhi sbigottiti delle cameriere di Babington’s che ci trattavano appunto come due ragazzini che proprio non volevano capire la differenza tra “un the per due” e “due the” (e comunque a loro non gliene fregava niente e ce ne caricavano sempre due sul conto, anche se la teiera era una sola).
E questo è il motivo per cui ancora oggi se non la vedo tutti i giorni 10 minuti per un caffè vicino alla banca dove lavora, io non so come mi chiamo. Anche se lo ha capito il barista che tutte le mattine vede due adulti che urlano e ridono della vita.
È lei la mia più grande amica, e lo sarà sempre.

martedì 1 dicembre 2009

Albero di Natale: istruzioni per l'uso.


Do per scontato amici che voi non apparteniate a quel genere di persone che comprano l’albero di Natale vivo, come un gatto, come un animale. Chi fa questo tagliando un albero dalla terra (anche dal vivaio: è uguale), non deve leggere questo blog. Posso passare ai consigli: finto e basta! Se adesso però ve lo comprate bianco, lasciamo perdere: non siamo in un film degli anni 80, l’albero è verde e basta. Poi gli addobbi: si prende la scatola del Natale, quella bella di cartone pesante che sta sul palchettone dal Natale scorso e si tirano fuori le palle di vetro di tutti i colori. Infatti altra buona regola è quella di non fare l’albero monocolore, come i governi di una volta. “Quest’anno viola che va di moda...”, no! Le palle devono essere di tutti i colori e devono appartenere anche ad epoche diverse, ogni palla deve raccontare una storia in modo che l’albero possa gridare la sua a chiunque si avvicini, e deve essere la storia della famiglia nella quale soggiorna. Ecco perché appenderemo anche i piccoli gadget che figli e nipoti piccoli avranno fatto in classe. Poi i fili colorati, quelle specie di boa, colorati anche quelli, tre, giallo, rosso e blu, bianco no! “Ma fa la neve...” perché, di solito ti nevica in casa? No, quindi niente! Non bisogna simulare. Altri divieti: i fiocchi, no! Alcuni appendono le caramelle e i torroncini, no! Non è l’albero della cuccagna, è l’albero di Natale! E poi c’è una versione degli anni 70 assolutamente da evitare e che ho visto dal vivo in una sola casa: si trattava di un albero vero che era stato adornato solamente di candeline che venivano accese dal padrone di casa quando arrivavano gli ospiti con la moglie che lo pregava:
- Mario, ti prego, ci vuole un’ora prima che si accenda tutto...
e l’altro:
- No cara, ci metto un minuto...
Alla fine devo dire che era molto bello, ma ovviamente la sera di Natale cosa è successo mentre tutti scartavano i regali? È bruciato tutto, rovinando quel Natale e quelli futuri ai bambini della coppia: per loro “Natale” equivale a “rogo”!
Ed ecco quindi arrivato il momento di parlare delle luci: si parla di fili elettrici che devono essere comperati a norma, quindi da Borghini a Via Belsiana a Roma, o comunque nei negozi tradizionali di materiale elettrico delle grandi città, quelli, per capirci, dove i commessi hanno ancora il camice. Due fili da 20 lampadine colorate intermittenti e basta. Dove si mette l’albero? In salotto in un angolo oppure se si ha un ingresso all’americana con tavolo Biedermeier al centro, dove per il resto dell’anno si appoggiano i guanti, il portachiavi di Tiffany, le gomme da masticare Blast, l’albero si può mettere proprio al centro del tavolo... Ma ecco che suonano alla porta di casa. È arrivata in un secondo la donna della vostra vita cui avrete fatto la sorpresa di aver fatto voi l’albero, lei vi darà una carezza con le mani fresche di manicure e senza ancora quella veretta di diamanti che tra pochi giorni troverà proprio lì sotto. E se l’8 dicembre, giorno tradizionalmente riservato al montaggio dell’albero di Natale, tutti pensiamo che sia un gran rottura di scatole, ricordatevi che quando lo smonteremo il 7 gennaio saremo tristissimi...

mercoledì 25 novembre 2009

TV da buttare


Tristezza, che altro si può dire vedendo quelle belle discariche abusive dove in mezzo ai materassi di lana con qualche molla che sbuca, due sacchetti di calcinacci, un frigo, una vasca col sedile dentro, spunta per la prima volta il nostro vecchio televisore. Non sto parlando di quei vecchi Phonola (la stessa marca del nostro fegato, quello dei bambini è Apple), ma di quello che abbiamo comprato noi, non i nostri genitori, acquistato con i primi soldini guadagnati non si sa come, spesso il risarcimento di un botto in motorino. Ora è lì che ci guarda con rancore: si trattava di un Sony Trinitron, compatto, il tubo catodico più famoso del mondo, si poteva vedere bene anche seduti di lato! Il telecomando essenziale, quasi bulgaro: c’erano i numeri, il volume, il colore e il contrasto, non c’era nemmeno il tasto per AV (entrata di un ausiliario qualunque), perché NON ESISTEVA la scart! Tanto è vero che per “attaccarci” un videoregistratore dovevamo fare un “ponte” con l’antenna che entrava prima nel videoregistratore dal quale usciva con un altro cavo per entrare poi nel televisore, e dove lo “mettevi”? Sullo zero, facile, no? Era un televisore e basta, faceva vedere la tv e aveva, attenzione, ben 29 canali! Molti erano per il futuro, tanto è vero che vorrei conoscere qualcuno che abbia mai sintonizzato qualcosa dopo il 9. La scarrellata era “il primo”, “il secondo”, poi Rai Tre, Rete 4, Canale 5, Italia 1, TeleMonteCarlo, Videomusic, e qualcuno molto intelligente metteva LA FRANCIA, cioè “Antenne 2” sul 9. Dopo era terra di nessuno, senza leggi, solo reti locali, tutte a casaccio, ognuno aveva la sua regola:
- Dove la metti TeleRoma 56?
- Sul 16, perché c’è il 6 finale...
Cos’è che ha decretato la loro morte? Più che il digitale terrestre, la mancanza della scart, che di fatto impedisce l’ingresso di un orribile decoder (hanno tutti il telecomando piccolo, non entrano le dita, è un macello!). È inutile chiamare il laboratorio dell’assistenza piagnucolando, nessuno mai vi farebbe una modifica stile Scuola Radio Elettra:
- Non c’è la scart? Lo butti!
NO! Io me lo tengo, e anche voi, perché, diciamoci la verità: dentro quelle televisioni, c’era la nostra vita da semiadulti, sono state le ultime televisioni che hanno visto Bernacca, Corrado, Mina (è proprio il caso di dirlo) le signorine buonasera, quelle vere, le tribune politiche con gli ospiti che potevano fumare, i telegiornali con i fogli di carta sul tavolo, insomma più ciccia e meno format. Facciamo uno sforzo:il nostro vecchio e schicchissimo Sony, tranquillo e inutile, lo mettiamo a dormire al calduccio nel suo scatolone originale come un cavallo al prato, per evitare di vedere in una discarica tutti quegli schermi che, una volta spenti, sembrano specchi neri che rimandano un’immagine scura: noi stessi.

PS: nella foto il Sony 10 pollici esposto al Moma di NY

lunedì 23 novembre 2009

Valentino: The Last Emperor


Vedere il film su Valentino vuol dire vivere 96 minuti di una vita che non avremo mai, non a caso il regista Matt Tyrnauer che ha avuto la pazza idea e il coraggio di seguirlo per tre anni l’ha intitolato “The Last Emperor”. E quindi preparatevi a immergervi nei 50 anni più glamorous di sempre con la colonna sonora (idea pazzesca) di Nino Rota della Dolce Vita. E come altro la vuoi chiamare quella che ha passato Valentino? A quel livello, (liquidato con 470 e rotti million dollars), davvero i problemi sono altri, le giornate passano tra le passeggiate a Villa Borghese per cercare di ricordare dove sia mai avvenuto il primo incontro e quindi l’amicizia, il sodalizio e l’amore, al Cafè de Paris o da Doney tra Giammetti, un santo, e Garavani, un genio, entrambi vestiti da Caraceni. I problemi del centralino:
- No, il Signor Valentino è fuori Roma...
Certo, è a sciare, dove, a Rocca di Mezzo? No, a Gstaad, in quella casa che manco Walt Disney, ma che tutti immaginiamo come la casa ideale da avere in montagna (l’altra possibile è quella di Last Christmas degli Wham! ma ne parliamo un'altra volta...). I problemi dei maggiordomi: “La Contessa de Ribes, si è portata la sua vodka personale!”
Ma scremata la creme de la creme, si capisce anche che questa vita prevede il lavoro “normale” e quindi si scopre che Valentino sa disegnare: esatto, prende una matita, una Faber Castell 2 qualunque, e tira giù linee senza tempo che inventano la donna dei nostri sogni, la donna per la quale “non sono riuscito a dormire stanotte, ed ecco qua: è il vestito più bello della collezione!”.
Valentino, un imperatore che invece del trono, passa molto tempo su quella seggiolina della sartoria, la sua vera casa, dove sta seduto proprio come una delle sartine che gli svolazzano davanti come le tre maghette della Bella Addormentata nel Bosco, mentre addobbano una modella nuda trattata come un lume da terra. Solo quando le mette una mano tra i capelli o le scopre una spalla un millisecondo prima che entri in passerella, mi è sembrato di scorgere una vampa di affetto, o di minima considerazione...
La vita internazionale che lui ha condotto per 50 anni in un inglese assurdo e che evidentemente tutto il mondo gli ha perdonato, quando alla domanda “What women want?” lui risponde con un sorriso:
-Dei uònt tu bi biutiful!
Del resto, non lo perdoni uno che, scorrendo con la mano i suoi 300 vestiti più amati, può dire: “Questo era di Jackie, questo di Audrey...”? Nessun altro al mondo può dire una frase del genere, a patto di non chiamare così i gatti di casa.
Ma c’è tempo anche per le giuste lacrime. Perché quando un uomo festeggia la sua carriera stratosferica e incrocia gli sguardi delle persone che ha incontrato in tout le mond sa che molto probabilmente è l’ultima volta che le vede, e che quei saluti non sono più arrivederci ma addii. Quell’uomo DEVE piangere e Valentino lo fa, come quando singhiozzando alla cerimonia per la consegna della Legion d’Onore, riconosce che senza “il Signor Giammetti” tutto questo non sarebbe esistito. Per fortuna sa anche come consolarsi, e questa è la grandezza, se negli anni 80, in un ritaglio che ancora conservo, dichiarò:
- Se sono triste, niente mi rende felice come due pennette pomodoro e basilico!
Come lo capisco...

venerdì 20 novembre 2009

Showtime!


Un uomo esce di casa la sera, sono le sette, la città sta per spegnersi, la gente sta tornando a casa, lui no, lui va a “lavorare” ma in realtà va al patibolo, è un agnello, una vittima sacrificale. Sta andando su un palcoscenico a fare il suo show. Un pazzo che spera che il pubblico, fosse uno o mille è uguale (meglio mille), lo ascoltino e lo capiscano.
L’arrivo in teatro è tranquillizzante:
- Sono arrivato!
Un pensiero di meno... Tutti ti salutano, il portiere, le maschere, che sono arrivate presto come te per cambiarsi, senza la divisa non le riconosci, come i vigili. Vai in camerino: una cella 2 metri per 2, fredda, ghiaccia, con un pezzo di feltro per terra per metterci i piedi per cambiarti le scarpe, sul tavolo il profumo, i fazzoletti di carta, i fiori della “prima” che si stanno seccando e il vestito di scena che ti aspetta, lo guardi e vorresti già essere al ristorante. Ma ti avvicini e cominci a spogliarti con angoscia, perché difatto questa è la vestizione di un torero, i gesti sono lenti, tutto deve essere perfetto come un sudario che avvolge la salma per gli dei! Che la ritrovino conservata bene, non tutta ciancicata dal viaggio! La cravatta scorre attorno al colletto alzato della Brooks d’ordinananza, i pantaloni salgono lentamente per sistemare la camicia all’interno, i lacci delle scarpe si annodano in un fiocco che dovrebbe durare in eterno. La giacca scorre liscia sulle braccia e s’innalza sulla schiena come una tenda scorrevole:
- Colpitemi, sono pronto!
In realtà arriva il fonico:
- Il microfono...
Comincia questo rito, va messo tra il secondo e il terzo bottone, lui ti sta a un centimetro e te lo aggiusta al millimetro, gli viene da ridere, tu vorresti morire:
- Com’è la situazione?
- Pieno.
Ci vorresti credere ma fino a quando non si aprirà il sipario non saprai mai se ti ha detto la verità o una bugia pietosa. Al momento ti bevi tutto quello che ti dicono. Dal dittafono che hai in camerino sale il rumore del pubblico che si accomoda in sala. Ti guardi allo specchio, non vedi niente se non uno straccio, speri che ti venga a trovare un amico in camerino, ma loro credono di disturbarti, credono che tu stia concentrandoti, non sanno che potrebbero dare l’estremo saluto al condannato a morte e lui sarebbe molto contento. Arriva il direttore di scena:
- 5 minuti!
Passano 5 minuti nei quali non sai più cosa fare e ti chiedi come mai fai questo lavoro, la paura ti stringe lo stomaco come un pugno chiuso una spugna da strizzare, ti ricordi della frase di Eduardo “gli esami non finiscono mai” e poi pensi all’esame di maturità quando ti dicevi “tolto questo poi sarà tutto una buffonata!”.
Torna il direttore di scena:
- 1 minuto!
Ti avvicini al palcoscenico, il patibolo, e il siparista è il tuo boia, senti la folla rumoreggiare dietro quel sipario rosso, ma un urlo alle tue spalle ti distrae, è la sentenza:
- Chi è di scena!
- Io, sono io, sto solo sto, quindi sono io!
Entri e di colpo tutto è finito.
Ricordatevi pubblico, quell’uomo che vi sembra così vivo in realtà è in trance, in apnea, uno zombie che cammina per scommessa, per far dire a voi chi è lui. Avete solo un modo per farglielo capire: applaudire.
Grazie.

mercoledì 18 novembre 2009

La verità di una dieta


Le diete in realtà cominciano il weekend precedente al lunedi di start, quando, dopo la prima visita dal Professor Migliaccio che elenca tutto quello che potremo e non potremo mangiare facendoci sentire già magri, con un baccanale che dura venerdi sabato e domenica ci congediamo come in un addio al celibato da abbacchi, salumi, formaggi, prosecchi e dolci. Quindi domenica sera ce ne andiamo a letto con lo stomaco che chiede pietà, noi ebbri di tutto, mentre chiudiamo il lumetto sul comodino pensando “chemmefrega, domani comincio la dieta!”. E buonanotte.
Viene l’indomani:
- Ok, dieta, allora vediamo... un caffè, due gentilini, ecco fatto, ah, mi sento meglio, ammàzza che meraviglia! Ci vuole così poco, il cornetto con la crema al bar? Mamma mia, siamo pazzi? Con tutto quello strutto!
In ufficio non ti sembra vero di entrare senza le briciole sulla cravatta visto che hai “bucato il bar”, hai un umore esageratamente allegro e rifiuti con una risata argentina la cassata della collega che, rovinata dai sensi di colpa ma non riuscendo a buttarla o a regalarla al portiere, cerca in tutti i modi di offrirla in giro...
Al ritorno dal pranzo ti vanti che al bar ti sei preso addirittura UN tramezzino e UN caffè, decaffeinato, per la pressione. La sera del lunedi non ti coglie impreparato e apposta ti sei preparato un bel filetto di nasello Findus al vapore, con olio e limone. Ed effettivamente vai a letto che ti senti benissimo, leggero, e pensi che sei stato uno scemo a non farla prima.
Martedi mattina ti pesi? NO! Lo ha detto Migliaccio:
- Non faccia il pazzo, si pesa da me venerdi prossimo, se no mi diventa maniaco ossessivo, faccia la dieta e non si preoccupi...
Il martedi quindi scorre liscio uguale, ma alle 1930 proprio mentre stai scendendo dal motorino incontri un’amica che era una vita che non la vedevi e offrirle un aperitivo è un attimo, te la cavi con un prosecco, che sarà mai? Niente, ma lei ti dice:
- Ci facciamo uno spaghetto dai Tedesco?
Non puoi rifiutare e mentre speri che ti dicano che non possono, accettano felici... Sai già che entrando nel calore della casa ti aspettano subito pronti un po’ di pizzetta calda, olive belle grosse, altri 2 prosecchi gelati, 2 fettine di salamino, 4 blocchetti stupendi di formaggio. Poi lo spaghetto, ne prendi pochi, ma non ce la fai e li riprendi mentre gli altri stanno finendo il primo piatto (“erano troppo pochi”), come secondo arriva grazie a Dio un’insalata che ti sembra un miraggio e te la mangi tutta, lasciandone pochissima agli altri che ti guardano con gli occhi di fuori, ti viene da piangere al pensiero che, mettila come ti pare, ma HAI SGARRATO! Non ci sono scuse, domani mercoledi ti tocca la dieta di recupero: UN caffè, UN gentilino, UN panino piccolo con 80 grammi di prosciutto sgrassato, UN frutto, UN secondo piatto a scelta per la sera. E basta, ma siccome “sei bravo” ti mangi solo una busta enorme di rughetta della GS condita con un cucchiaino d’olio e limone e un arancio. Di notte nel letto senti i rumori di un trasloco nello stomaco. Ti contorci, ti viene in mente che potresti mandare giù uno yogurt magro 0,1 della Vipiteno, ma pensi all’arancio e hai paura di creare dal nulla il match Tyson vs Alì.
Giovedi, ti alzi, ti guardi allo specchio, credi di essere dimagrito, in realtà sei solo sbattuto, ti vuoi consolare e te ne vai al bar:
- Ma che te sei messo addièta? Non te sei più fatto vede’...
- No no, un po’... allora un caffè e.... basta (ma “basta” lo dici sottovoce)
- Che vuoi un cornetto piccolo? Senza niente? Questo quiii? Vabbèneee?
- Ma sì, mi sento male, se non mangio niente come faccio a lavorare?
Il pranzo scorre liscio e pensi alla cena: “Oddìo stasera da Benedetta e Fabrizio, lo so da una settimana, ma come faccio? Capirai ci sarà la qualunque...!” Chiami e le dici che stai a dieta:
- Tranquillo, mangi poco di tutto, ho fatto cose stupende, dài!
Vai a cena e non porti niente apposta, cerchi di dimostrarti eroe e salti gli antipasti, diciamo...: due pezzetti piccoli di pane con il salmone e un ricciolo piccolo di burro, poi arriva la lasagna al pesto, divina, un pezzo, piccolo? No, medio... Ecco il secondo: stinco arrosto con le patate. Come si fa? Come si fa? Ti aiuta una ragazza al tavolo, a dieta anche lei che ti dice, “ce ne mangiamo uno in due, va bene?”, te la vuoi sposare, ma ha già la fede, comunque diventa la tua migliore amica. Mentre ci chiacchieri ti accorgi che ci vai pure d’accordo e le versi 2 bicchieri di vino e te le versi pure tu, (“non importa dài, questo e basta”). Dolce: millefoglie di Cavalletti! Lo salti ma chiedi una vodka! Gelata! Arriva una boccia di Absolut, bellissima, appannata, e con le incrostazioni di ghiaccio sopra. Te ne bevi 3 senza sapere come. E mentre pensi che la vita è stupenda, che è bello vivere, gli amici, le cene e compagnia bella, ti ricordi che domani hai il controllo del PESO, come una mucca sulla pesa, appunto. Ti rendi conto che in realtà hai fatto solo 4 giorni di dieta, perché ven sab e dom scorsi hai fatto lo scemo con tutti dicendo “tanto lunedi mi metto a dieta!”.
Venerdi mattina vai da Migliaccio alle 7 e mezzo, hai cercato di andare al bagno in tutti i modi senza riuscirci, scendi le scale di casa a piedi e sali pure quelle sue a piedi, 3 piani! Ti pesi e hai perso 500 grammi e basta! Sei un buffone! Migliaccio ti guarda dall’alto in basso e per non ucciderti ti dice cortesemente che potevi fare meglio. Esci triste per la figuraccia, vai al bar per fare colazione alle 0745, ti sfondi con un danese al cioccolato e ti viene in mente tua Nonna:
- Per dimagri’, non bisogna magna’!

martedì 17 novembre 2009

Otto e un quarto la sera


Questa sera sei solo. Te ne sei reso conto da poco, come se sentissi freddo all’improvviso. Cerchi un maglione, te lo metti svogliatamente, e ti sembra di stare meglio, ma non è vero: una vampa d’ottimismo che dura un cerino. Scarrelli col telecomando sulla tele. I soliti quiz, sei milionario da anni anche se con i soldi del monopoli.
Che facciamo stasera? Apri il frigo, lasciamo perdere. Apri il freezer, lasciamo perdere. Torni di là. Prendi il cellulare e cominci in ordine alfabetico a chiamare tutti quelli soli come te, uomini e donne, è uguale, hanno tutti da fare, e che è? Tutti organizzati, m’avesse chiamato qualcuno, li possino... La sequenza dei nomi è la stessa da anni, a qualche nome cambi posto, qualcun altro lo cancelli, ma quei numeri, come li metti li metti, stasera non ti dicono niente.
Visto da fuori ti fai pena. Com’è possibile ridursi così? Che facciamo stasera? Dài, un bel libro e passa la paura... Non ti va, magari un film in dvd, li compri e non hai mai il tempo di vederli, stasera è la sera giusta: come li tocchi e li vedi con il cellophane t’intristisci e pensi ai soldi buttati, quei film non li vedrai mai.
Ti cambi per la sera a casa e ti metti una felpa, ma ti ricordi di lei, di un’amica tua. La chiami al suo numero di casa dal tuo numero di casa perchè non ti va di trovarla fuori. Miracolo: risponde, sì, è a casa stasera, no, non esce, non le va e ti chiede:
- Che fai, vieni?
Quasi urli dalla gioia accettando l’invito.
Ti cambi di nuovo, anzi no, hai fretta ed esci finalmente da quella trappola che è diventata casa tua, sali sul motorino e guardi le stesse vie che attraversi tutti i giorni, c’è ancora l’alimentari aperto, dentro una donna fa la spesa prima di tornare a casa dalla sua famiglia, tu compri un prosecco e chiedi se per caso ce l’hanno freddo, lei ti guarda, chissà che s’immagina, tu ti senti in colpa e non la guardi più. Quando esci la saracinesca si sta abbassando alle tue spalle, senti il rumore ma non ti giri, c’è qualcuno che ti aspetta. I palazzi che ti scorrono accanto hanno tutti le luci accese e dentro quelle finestre t’immagini le loro vite così diverse dalla tua.
Al citofono lei ti apre il portone senza chiedere chi è. Fai le scale a piedi.
La porta è aperta, chiedi permesso, lei ti urla “vieni, vieni...”
È in cucina, tu entri, lei ti sorride.
Stasera non ti spari, domani vediamo...

lunedì 16 novembre 2009

Mai di lunedi


Mai di lunedi, ogni cosa è da evitare, non fate niente, non fate domande dove sperate che vi rispondano con sì, avrete solo no, la gente è esasperata, è triste già dal tardo pomeriggio di ieri: la domenica sera è il giorno in cui si decide per il suicidio, per questo motivo va in onda Report che ti dà la mazzata finale, per aiutare nel gesto fatale. Questo è un problema che assilla tutto il mondo e non c’è modo di risolverlo se non quello di farlo passare, come? Le uniche cose che si possono fare il lunedi sono quelle che cominciano, una fra tutte la dieta, poi la palestra, o i corsi d’inglese, se notate infatti sono tutte cose punitive. Si possono fare anche le commissioni, ma solo quelle più brutte, non quelle nei negozi che infatti sono chiusi il lunedi mattina. Parentesi, la domenica sera le strade del centro sono piene delle commesse sciamanti che celebrano il loro sabato sera nel tentativo d’incontrare il calciatore della loro vita che, ebbro dell’eventuale gol, e delle Magnum di Krug che si è bevuto al Gilda, potrebbe portarle all’altare della sua vita dorata: per questo motivo i negozi sono chiusi il lunedi mattina. Per commissioni brutte s’intendono quelle negli uffici pubblici dove si va a litigare per la multa, oppure dal giudice di pace, oppure alla telecom, alla tim, all’enel, all’acea, all’italgas, alla nettezza urbana, insomma ovunque ci sia uno sportello con un vetro con un buco al centro scomodo e dietro un impiegato furente perché oggi è lunedi! Anche una prima udienza di divorzio va benissimo di lunedi, il giudice sarà nero perché è lunedi e nessuno dei due ex si guarderà negli occhi per lo stesso motivo, anche gli avvocati avranno fretta perché non vedono l’ora di andare al primo giorno di palestra (hanno cominciato la dieta) e di tornare il più tardi in ufficio perché oggi è lunedi.
Un’altra visita gradita di lunedì è quella al commercialista (per pagare ogni giorno è buono), dal dottore per fare il vaccino, da un conoscente che da una vita vuole prendere un caffè con voi, al supermercato a fare la spesa, tanto è stato svuotato dalle cavallette del sabato pomeriggio e la domenica i rifornimenti non li fanno! Insomma il trucco è quello di togliersi le incombenze che gli altri giorni non vogliamo fare per non rovinarceli, a questo punto tanto vale rovinarsi il giorno più brutto della settimana e buonanotte, consolandoci al pensiero che il lunedi non dura in eterno e in fin dei conti domani è GIÀ martedi.
Ma ricordatevi che se il lunedi sera una vostra amica accetta l’invito di venire a mangiare da voi una teglia di verdure arrosto condite con poco olio, una Coca light e un biscotto, perché avete cominciato la dieta, molto probabilmente è la donna della vostra vita.

giovedì 12 novembre 2009

Disney on DVD tonite!


Io vorrei sapere perché quando per un motivo o per l’altro sento una canzone dei film Disney, mi viene da piangere e me li voglio rivedere tutti insieme subito, stasera!
Eccoli quindi nello scaffale della libreria conservati vicini vicini, stretti stretti (in realtà li abbiamo ricomprati tutti in DVD ma ci manca la pompa di buttare i VHS degli anni 90). Abbiamo sempre qualche incertezza nella scelta del titolo, perché va detto che le copertine sono orribili e per forza, le hanno fatto ridisegnare! Perché non ci mettono un bel disegno originale? Non si capisce: segreti del marketing pazzo che ancora pensa che i bambini abbiano gli euros per comprarli e non i genitori che andavano al cinema parrocchiale a vederli e vogliono piangere tra le braccia della moglie che si trova in un attimo sul divano come un crocefisso con il figlio a destra e il marito a sinistra. Via l’imbarazzo e scegliamone uno superclassico, di legno, quelli fatti a matita, disegnati UNO PER UNO! Si mette il DVD e si vede quel filo d’argento che come una scia attraversa il cielo sopra il Castello di Biancaneve (zittite subito chi vi dice che è quello di Cenerentola, non è vero! Disney andò in Baviera vide il Castello di Neuschwanstein, e se ne innamorò per il suo primo lungometraggio a cartoni animati, appunto Biancaneve) e parte quella musica che lavora come una macchina del tempo senza droghe. Che note sono? Che note sono queste che mi ammazzano all’istante? La musica è quella di PINOCCHIO! Ma Pinocchio, ne vogliamo parlare? Quanti anni sono che non vedete Pinocchio?
E gli ARISTOGATTI? Ma quanto abbiamo odiato Duchessa e quanto era fico Romeo con quei miciastri? Ed Edgar? Quel maggiordomo che vorrei di là in salotto tutta la vita? Quanto si gode quando lo chiudono nel baule?
E la CARICA DEI 101? Quando escono truccati di fuliggine ma la neve sciolta che gli cade addosso li smaschera agli occhi di Orazio e Gaspare? Non ci sentiremo mai più nudi di così nella vita...
E gli occhi di Lucifero nel buio della camera della matrigna di Cenerentola? La cosa più cattiva della nostra esistenza! Ma se volete sapere come è la vita dall’adolescenza in poi, non serve leggere i libri di Bollea: basta guardarsi LA SPADA NELLA ROCCIA, e basta, fatto! Perché un film Disney è stato e sempre sarà la nostra prima scuola di sentimenti, e siccome è entrato nel nostro imprinting, c’è poco da fare ormai, bisogna rassegnarsi...
E ricordatevi che se mai avrete il coraggio di vedere un Disney in DVD, mentre fuori piove, anzi diluvia, anzi nevica, è un giorno vicino a Natale, magari il 23 sera, voi sotto il plaid a scacchettoni preso con i punti Mira Lanza negli anni 60, con una ragazza accanto sul divano, molto probabilmente è la donna della vostra vita.

mercoledì 11 novembre 2009

Una giornata metropolitana


Stand up alle 8. Una doccia con soffione da paura effetto pioggia nel pineto torrente, un bicchiere di succo di frutti rossi polifenoli antiradicaliliberi, un caffè Roma “Nespresso, what else?”. Una camicia bianca button down con colletti e polsini slacciati, presa da un cassetto profumato con sacchetti di pot-pourri Santa Maria Novella (what else?). Completo blu o grigio ferro, scarpe Church’s, una cravatta presa da Viganò o da Rubinacci e via, in una nuvola di Equipage, che usava anche Jacqueline Bisset! Un salto al caffè Greco dove guarda caso arriva la donna della nostra vita per prendere il vero caffè della giornata, il secondo, non il primo che serve solo a svegliarci, un bacio veloce con dating successivo per la serata. Ora ci aspettano in ufficio dove la boiserie è la vera padrona di tutto e le segretarie, tutte perfettamente parlanti italiano, sorridono come un’hostess della SAS del 1958. La giornata comincia tra mail consultate su un iMac 27 pollici, e telefonate internazionali che passano su apparecchi con cavi di pelle di Ritz Saddler. Alle 13 un break per un frugale lunch: stiamo parlando di un club sandwich al Hotel d’Inghilterra, dove entrando incrociamo senza girarci Catherine Deneuve (che quando scende a Roma si butta lì, non lo sapevate?). Un altro caffè sempre al Greco, dove nel frattempo hanno cambiato turno le cassiere e i baristi. Altri sorrisi da ricambiare con charme tipo “Drakkar per uomo, carattere e personalità”!
Parte il pomeriggio con belle lettere da scrivere a mano su carta di Pineider, e penna stilografica Chopin di Montblanc, o quella di un prozio che ha firmato il Trattato di Yalta. Uno sguardo ai siti internazionali del New York Times, L’Equipe, Variety, un saluto alle hostess e andiamo avanti.
Alle 18 ci aspetta la palestra, 10 minuti di pochi pesi per il giusto e sobrio tono muscolare, 40 minuti di tapis roulant e 1000 addominali.
Alle 1930 rientro in casa per il cambio d’abito, veloce, ci aspetta una prima a teatro o un cinema alle 20, con biglietti già presi, arriva una nuvola di Oyedo seguita da un filo di perle triplo al collo, chi è? Ma certo, un pullover nero di cachemire a 4 cavi, un taglio di capelli sportivo, una pochette di un’eleganza minimal, Audrey? Ci siamo. L’ingresso, ovunque sia, è da red carpet. A teatro la noia, all’intervallo la tentazione di scappare mano nella mano è troppo forte, un romantico taxi ci sgancia in un restaurant per un tagliolino burro e tartufo, o nell’abituale trattoria per qualche antipasto e una vodka gelata Polo Nord.
Questa è la giornata, la metropolitana un’altra volta!

PS: cosa c’entra Robbie Williams? Niente, è bella la foto...

lunedì 9 novembre 2009

Il mezzo Milione, un viaggio in Cina


Allora, Veronica Lario in Berlusconi si è fatta un mese di vacanza in Cina con la figliola Barbara e una guardia del corpo per sicurezza. Innanzitutto come sarà nata l’idea? Bè... per non perdersi il primo “foliage” dal verde al giallo autunnale degli alberi, uno degli spettacoli più belli della natura in replica ogni anno in questo periodo, che si sarà detta Veronica?
- Scendo qui nel parco di Macherio o me ne vado in Cina?
- Dài Ma’, andiamo in Cina!
- Ma sì, voglio proprio staccare un po’ la spina, tanto, quanto può costare?
Alla fine è tornata con un conto di 500.000 euro. Certo, avrà offerto per tutti. Ma come avrà fatto a spenderli? Mi sono fatto due conti.
Togliamo le spese fisse, aereo prima classe per tre (per forza: 18 ore di volo sono scomode per tutti), € 9600: “pago io!”.
Si scende al “Marco Polo Parkside”, 7923 dollari per tutte le 18 notti in 3 camere, le altre notti a Shanghai al “Peninsula” di recente apertura: 935 euro a notte per 14 notti per 3 camere vista fiume, sono altri 39270 (Shanghai è carissima in questo periodo!). Totale 56793, escluse le cene. Però a Pechino, almeno una volta, non ci vai da McDonald’s? Almeno per dirlo e fare una foto a Barbara davanti alle 29 casse tutte allineate, che quando ti ricapita? Lì un Big Mac costa 6 yen, qualcosa ti rimane, no? Magari per i regali da fare, e presumo, spedire: mica si saranno portati dietro tutte le buste sulla muraglia cinese, sulla quale saranno andate con l’elicottero per vederla dall’alto, (anche se con Google Maps, ormai l’hanno vista tutti dall’alto, stando a casa). I regali li facciamo da Muji, così risparmiamo (sta pure a Milano a Via Torino, però vuoi mettere?). Insomma con altri 40000 euro ci mettiamo tutti i trasferimenti in Cina con tutti i mezzi di trasporto possibili e immaginabili compresi i risciò e le mance. Arriviamo a 100000 euro. Me ne rimangono altri 400000. Che ci faccio? Tutto il guardaroba da Prada, finto all’origine? Oppure gli acquisti pazzi alla Michael Jackson, tipo una montagna russa per il giardino? Ma lui abitava a Neverland, mica a Macherio, no? L’iPod se lo saranno già comprato da tempo... Io francamente non lo so, ma provo comunque a tirare una somma: cosa rimane di un viaggio in Cina oltre a 400000 euro? Un ombrellino di carta, un po’ di ricevute e 5507 punti sulla Carta MilleMiglia.
Insomma 30 giorni in Cina sono emozioni senza prezzo.
Per tutto il resto c’è Mastercard.

mercoledì 4 novembre 2009

Happy Bday "Secondo"!


Oggi nel 1961 nasceva “il secondo”. Non c’era bisogno di aggiungere altro, perché era l’alternativa al “primo”. La RAI, radio televisione italiana, questo prevedeva e questo ci tenevamo. Ma “ilsecondo”, tutto attaccato nel lessico inconsapevole dell’imprintig, era davvero un universo: da piccoli era solo l’ordine o una scommessa persa per “girare” e “metterlo” sulla televisione, ma poi, crescendo, ci si è accorti che sul secondo c’era tutto quello che sul primo NON poteva esserci, tutto quello che un eventuale Professor Cutolo non poteva permettere. Qualche esempio?
“L’altra domenica”, che era appunto il contraltare a quella messa che era ormai diventata “Domenica in”. “Odeon” che mi ha fatto scoprire Richard Gere, notato in “Cats” per offrirgli poco dopo “American Gigolò”. E "Blitz" che riusciva ad andare sul set blindato del film più importante della nostra vita “C’era una volta in America” e a parlare con Robert De Niro, che aveva 40 anni appena e all’epoca non parlava a nessuno nemmeno alla madre... Ma se dico “Quelli della notte” con happening a seguire tutti fuori da Via Teulada per vederli dal vivo?
“Mixer” con la sigla meravigliosa degli Azymuth, “Jazz Carnival” e i faccia a faccia che sono diventati un format di ripresa insieme alla frase di Minoli “senta, le faccio un’ultima domanda...”? Per non parlare del Tg2 con le arrabbiature di Mario Pastore e quella sigla pazza di tutti quei 2 a vari colori al centro dello schermo, senza mondo, senza antenna a diramare gli spacci d’agenzia come bardi...
Insomma, “il secondo”, poi “Rete Due” e infine “Rai Due”, era una specie di tv pirata che ci ha fatto crescere, se il primo ci ha raccontato le favole per tenerci buoni da bambini, il secondo ci ha fatto sentire grandi anche se non lo eravamo ancora, se Rai Uno era una nonna, Rai Due era lo zio scapestrato che ci mostrava il mondo con un sigaro che penzolava dall’angolo della bocca, Rai Uno un bicchiere di latte, Rai Due il primo bicchiere di vino, Rai Uno la Carrà, Rai Due Renzo Arbore.
Oggi al secondo canale, a questo uomo di appena 48 anni, cui piaceva il cinema, la musica, i viaggi e le donne, che devo dire?
Tanti auguri, in tutti i sensi...

PS: il logo meraviglioso era disegnato da Piero Gratton come mi insegna Riccardo Grandi

martedì 3 novembre 2009

L'amica di Keith Emerson


Ieri 2 novembre, i morti, era il compleanno di Luchino Visconti, cui piacevano i crisantemi proprio perché gli ricordavano il periodo del suo compleanno e se ne circondava fregandosene del fatto che sono i fiori de “i morti” e invece sono bellissimi, andateli a comprare e se qualcuno vi dice “ma sono i fiori dei morti” gli rispondete con Visconti. Ma era pure il compleanno di Keith Emerson, il mio mito personale dopo averlo visto nella sigla pazzesca di Odeon (la regia era di Marcello Avallone), “Honky Tonk Train Blues”.
Ho cercato di conoscerlo in modo maldestro grazie allo stupido consiglio di Enrico Stinchelli. Allora: 1980, io ancora 17enne, sul Messaggero leggo che Emerson è a Roma per presentare la colonna sonora di “Inferno” di Dario Argento. Sta al Raphael, albergo divenuto in seguito famoso per altro, invece di precipitarmi e aspettarlo là davanti come si fa in questi casi, do retta a Stinchelli, che mi dice:
- Prendici un appuntamento per un'intervista e ci parli quanto ti pare, no?
Prendo mia madre, perfect english speaking, e la obbligo a chiamare Keith Emerson, con il sussiego degli anni 50 mia madre riesce a farselo passare e a prendere un appuntamento “certo, ma lei deve parlare con la mia ufficio stampa che senz’altro non le negherà un’intervista per questa rivista musicale per ragazzi...”
Ergo? Niente. Cosa avrei detto a una che avrebbe capito all’istante che non ero un giornalista ma un mitomane? Però mi rimane la cassetta BASF da 90 con la telefonata tra mia madre e Keith, vuoi mettere?
Keith Emerson, oggi 65enne, dal suo sito invitava, in questi giorni, alla proiezione proprio di “Inferno” dove lui ha presenziato insieme a un’attrice del film e c’informa che il biglietto costa 7 dollari e comicia a mezzanotte. Sta pure su Facebook (!) e ha 3143 fan ma solo in 6 gli fanno gli auguri, ai quali aggiungo ora i miei: tanti auguri Keith, non dimenticarmi! In fin dei conti hai parlato pure con mia madre!

lunedì 2 novembre 2009

This is it


“This is it” è un film sorprendente, nel senso che non è la sòla come ormai purtroppo era lecito aspettarsi. Le riprese erano nate come “archivio personale” di MJ, una specie di foto ricordo di quello che sarebbe stato il suo ultimo show. Quello che salta subito agli occhi è che Michael stava bene, dava ordini sempre seguiti da “God bless you”, ma sempre ordini erano:
- Dovete seguire il mio gesto, che Dio ti benedica, capito?
- Sì Michael, mi devi dire tu quando lo vuoi lo stop...
- Tu basta che mi guardi, che Dio ti benedica.
- Certo, tu mi devi dire l’atmosfera: il pezzo è tuo!
- Certo, io lo so, io l’ho scritto, io lo so, lo so io, lo so, che Dio ti benedica.
Invece Kenny Ortega, il regista e coautore insieme a MJ dello show, lo tratta come un pazzo, con pinze foderate di cachemire e guanti di velluto Visconti di Modrone anche solo per farlo salire sul braccio meccanico:
- Michael, grazie, solo se lo vuoi, grazie, è solo per la tua sicurezza, grazie, scusa, grazie Michael, è solo per te, grazie, e scusami se puoi...
I mezzi dello show sono pazzeschi: il braccio lungo 20 metri e che lo avrebbe sollevato durante “Beat It” per gironzolare sopra le teste di tutto il pubblico, FA PARTE del palcoscenico! Invisibile e perfettamente allineato al palco, si sarebbe alzato come un pitone dissimulato nella giungla.
Mentre seguiamo le note straordinarie del suo jukebox personale, ti viene effettivamente voglia di andare a Londra a vedere lo show, e solo subito dopo realizzi che è morto e quindi ti deve bastare il film (e il DVD che mi compro appena esce e il cd che mi scarico adesso da iTunes).
Sarà deformazione professionale ma vedendo il film ho pensato anche ad Al Bano e alla sua dichiarazione alla morte di MJ: “me sa che ‘sti soldi non li vedo più!”.
Ma la cosa più straziante non è Michael in discreta forma fisica che chiede a Kenny Ortega di fargli risparmiare la voce durante le prove:
- Kenny, ti prego, che Dio ti benedica.
- Michael, fai come vuoi, è tuo lo show, scusami ancora e grazie di nuovo.
No, la cosa più triste è vedere quei ballerini che, scremati in tutto il mondo e in lacrime alla sola notizia di poter ballare PER LUI la nuova versione di “Thriller” da proiettare alle spalle di MJ, si ritrovano ad assistere GRATIS alle sue prove di “Billie Jean”, fatta tutta di seguito, solo per loro: da paura! La consolazione, a loro insaputa, per ricevere un giorno questa telefonata:
- Allora ragazzi, il tour è annullato: Michael è morto.
- Come dici, scusa?
- Questo è tutto.
Che in inglese si dice “This is it”.

giovedì 29 ottobre 2009

Donne che sanno dire no


Se un uomo un giorno si salverà dal guaio nel quale si è cacciato, ancora una volta dovra dire grazie a una donna, sua moglie.
Solo le donne, solo le mogli, sanno aiutare nel momento della disgrazia quell’affare che si ritrovano accanto dal giorno del matrimonio con i consigli propri di un curatore fallimentare. Dove la trovano la forza di fare tutto questo non si sa, alle donne basta una notte fuori per riparare, almeno per un momento, l’orgoglio ferito. Gli basta una notte fuori per far capire in che buio si può precipitare senza di loro. Gli basta una notte fuori per inventarsi una exit strategy che salvi il salvabile. E con un colpo di spazzola ai capelli riescono a mettere su una faccia per andare a lavorare. Dove, con l’umiltà di chi è grande veramente, diranno che “non siamo più brave e intelligenti, ma siccome abbiamo molte cose da fare sappiamo organizzarci meglio con il tempo”. Quel tempo che invece, addirittura in orario di lavoro, veniva dedicato ad altro. Solo le donne, solo le mogli, in una notte fuori riescono a trovare quell’amore, di una madre per sempre, che riesce a mettere una mano su una spalla dell’uomo che dovrebbe “proteggerle” e che invece ha sbagliato lasciandole con la porta aperta.
In una notte fuori riescono a capire che ci sarà il tempo per la disperazione lecita, per il rimprovero di diritto, per l’eventuale e mai scontato perdono, ma che adesso è il tempo dell’emergenza, ora piove e bisogna cercare un riparo, quando smetterà ci penseremo. È un ruolo che non gli compete ma lo accettano e lo svolgono. Perché queste donne sanno dire sì a chi ha bisogno di loro e sanno dire no quando è l’unica risposta da dare a “qualche” domanda indiscreta. Lei, questa donna, ha risposto con un semplice, inequivocabile “no”.
Quel “no” secco che è mancato a un uomo. Suo marito.

martedì 27 ottobre 2009

Come si fanno i regali


Ancora sbagliate i regali? Appartenete a quel genere di persona che si giustifica della stupidaggine che ha osato regalare dicendo “È solo un pensierino...”? Non avete mai imbroccato un regalo e non ve ne rendete conto nemmeno quando lo vedete riciclato in 4 case di amici in un anno? Allora prendete appunti.
Ragioniamo insieme: dopo i 40, tutto sommato non ci serve più niente, e nell’era del consumismo, non aspetto certo il mio compleanno sperando che qualcuno mi regali l’ultimo di Bublé, perché non appena lo annuncia lui “forse faccio un album l’anno prossimo...” io l’ho già comprato. Quindi alla larga dalle presunte novità. Così come dalle “cose per la casa”: nella casa non c’entra più niente, qualsiasi cosa vi viene in mente, dallo sbuccia-aglio al vaso per i fiori, andrà tutto in parrocchia.
I pullover? Ma per carità, si sbaglia colore, taglia, lui lo andrà a cambiare il giorno... Bisogna regalare materiale di consumo, niente che rimanga. Mi spiego: avete mai provato a regalare 10 chilogrammi di paccheri di Gragnano? Tutti urleranno di gioia! I pelati “Miracolo di San Gennaro”? (esistono davvero), sono contingentati, rarissimi, vengono colti SOLO 2 volte l’anno, mangiati quelli non esistono più, quindi la regola è QUANTITA’ applicata all’idea del materiale di consumo in questione: al commercialista, invece della Montblanc (che lui riceve in regalo ogni Natale) gli fate la penna BIC, quella che costava 150 lire, ma gliene fate 100! Oppure 10 litri d’inchiostro di ricambio. La quantità vince. Avete un amico “tecnologico”? Dovete regalargli le batterie: 100 di tutti i formati, quindi stilo e ministilo, si commuoverà, perché ovviamente ha tutti i telecomandi senza e fa la giostra con le uniche due cariche in casa, quelle del telecomando del plasma.
Altro regalo a consumo: 100 capsule di caffè “Nespresso, what else?”:
- Non ho la macchina...
- Te la compri, non sai quanto è buono!
Altra regola infatti è quella di difendere la scelta fatta:
- Ecco un libro per te...
- Ma è “Il vecchio e il mare”, l’ho letto da piccolo...
- E mo’ te lo rileggi: auguri! - e ve andate subito in salotto, lo regalerà al figlio, che ci frega?
Anche perché un’ulteriore regola è quella di non dover mai presenziare alla teatrale apertura dei regali davanti a tutti: non appena il festeggiando apre la porta, il regalo glielo si butta in faccia imponendogli di aprirlo a quattrocchi, si eviterà il commento degli altri che fanno il conteggio di quanto avete speso rispetto a loro.
Se queste idee non vi piacciono, rimane una cosa da fare: non fate i regali. Offrite cene.
E invitatemi.

lunedì 26 ottobre 2009

Buon compleanno!


Per i miei 18 anni ho sbagliato tutto: ho portato la ragazza che mi piaceva da sempre e alla quale non sarei piaciuto mai, alla cena più assurda che possa capitare: da George’s, il ristorante del Cordon Bleu, età media 90 (abbassata da noi due). Lei non poteva rifiutare e mi ha accompagnato suo malgrado per farmi il regalo di dirmi “sì” almeno a una cena insieme. Tutto in taxi, ovviamente: andarla a prendere da casa mia, andare al ristorante, andare al cinema, riaccompagnarla a casa, e ritornare a casa mia. Io mi ero imparato a memoria tutto il menù, che era in francese, per tradurre i tortiglioni, i girelli, i gateau, tutti i vini giusti da abbinare qualsiasi cosa lei avesse scelto e mi ero preparato le frasi da dire al maitre e al sommelier : “Va bene un chianti, scelga pure di chi, mi fido della sua esperienza!”.
Ma come sempre accade quando le aspettative sono esasperate, la conversazione languiva e la serata non decollava: grissini spezzati nervosamente, sguardi alle appliques, argomenti zero, il pianista che suona tanti auguri al secondo piatto, un’anatra alla qualunque, e non al dolce, tutti gli altri commensali che ci guardavano, le vecchie ammirandola, i vecchi commiserandomi, una tragedia... per fortuna rimaneva la seconda parte della serata: il film al cinema! Quale? Vogliamo fare “Urban Cowboy” che preferivo io (essendo un film da “amanti”), oppure sbagliamo e si va a vedere “Fame” che voleva vedere lei (essendo un film da “amici”)? Sbagliamo, dài, che ci frega? Tanto è solo il mio 18° compleanno, mica una serate come le altre.... E così di corsa all’Ariston, nella folla assurda del sabato sera, io in giacca e cravatta a disagio in mezzo a un mare di jeans, un vecchio di 18 anni compiuti da un’ora in mezzo a giovani che volevano riconoscersi in quelli di “Saranno Famosi”. Arriviamo alle 22.35, film cominciato, penultima fila, davanti a me una con i capelli di Moira Orfei, alla mia destra, un braccio inerte, insensibile a tutto, quello della mia dama. Non chiedetemi cosa penso di “Fame”, il mio ricordo è buio (non ho visto niente) e freddo come il pezzo di ghiaccio che avevo accanto.
Della serata in cui si diventa maggiorenni, rimane quindi un bacio sulla porta di casa sua e una frase:
- Riccardo, mi hai fatto passare la più bella serata della mia vita!
- A me lo dici?
E andando via mentre conteggiavo le 23000 lire che avevo speso di taxi, (la cena era il regalo dei miei), pensavo che se una ragazza non mi vuole dopo una serata così, qualcosa vorrà di’... No?
Oggi ho imparato e non sbaglio più, tutti da McDonald e un dopo un DVD, “Il Vedovo”, con Alberto Sordi!
Tanti auguri...

giovedì 22 ottobre 2009

Io vedo!


La progressiva perdita della vista è una delle prime cose che “impariamo” da grandi, come fossimo ancora piccoli. Nel senso della nuova e, in questo caso, spiacevole sensazione. Guarda caso una bella mattina al bar leggendo il giornale ci sembra che ci sia meno luce, che succede?
- Claudio, ma che hai abbassato la luce?
- No, perché?
- Boh, mi sembrava...
Una sera, guardando le istruzioni di un surgelato, non vediamo bene la piccola data di scadenza, e istintivamente allunghiamo le braccia per mettere a fuoco. Mamma mia, siamo VECCHI! Tocca andare dall’oculista.
All’inizio con quel cartello assurdo che abbiamo visto per l’ultima volta alla scuola guida quando avevamo 18 anni, ci sembra di vedere tutto benissimo, anche l’ultima riga, quella grande un micron:
- Ma allora ci vedo, sto benissimo!
- Aspetti un attimo... si copra l’occhio destro.
Prendiamo la nostra pashmina, l’appoggiamo delicatamente per non urtare minimamente il nostro faro destro, e immediatamente una guazza indefinibile d’inchiostro prende il posto di quella serie di stupidi caratteri e proviamo ad andare a memoria, per autofregarci:
- M, N, Z, Q, parentesi quadra, una mosca, una clessidra, R. Giusto?
- Stia calmo... adesso?
- Non vedo, non vedo, che succede? Muoio!
- Stia tranquillo, le ho messo io una mano davanti l’occhio sinistro, si tolga la sciarpa dal destro e mi dica che vede alla terzultima riga...
- C, H, no M, mi scusi tanto, C, M, F, L. Giusto?
L’oculista ride, non parla e ti mette addosso l’occhiale più brutto che abbiamo mai visto in vita nostra (manco Mughini ce la farebbe a inforcarlo!)
Di colpo LA LUCE, un plasma 60 pollici, l’arcobaleno della vita, lo spettro solare, vediamo tutto, anche oltre il muro, leggiamo al contrario, in diagonale, urlando dall’entusiasmo! È fatta! Ma poi la sentenza:
- Tutto a posto: lei è solo presbite...
La mente ci va alla marca Presbitero delle matite di scuola, con quel matto che ce le aveva tutte in testa e non capiamo cosa vuol dire:
- Con l’età tutti diventiamo presbiti, quindi stia tranquillo, si compri un bel paio di occhiali - mentre lo dice mette i suoi e scrive la ricetta, non ci vede manco lui che è oculista - e li usi quando è stanco, arrivederci.
Insomma, con quella ricetta andiamo dall’ottico e ci compriamo un bel paio di Persol e da quel momento in poi malediremo tutti quelli che fanno le scritte piccole, dai foglietti delle medicine, alle istruzioni per il decoder del digitale terrestre, dai libretti del cd (ma non erano meglio i dischi?, era tutto scritto grosso) al tempo di cottura della pasta.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere: come ci ricorda la cara Michelle Pfeiffer infatti “il vantaggio di cominciare a non vederci bene è che quando ti guardi allo specchio, come per incanto le rughe scompaiono!”

PS: qui potete fare il test

mercoledì 21 ottobre 2009

Il sorpasso degli sms


Tempo fa una quindicenne è cascata in un tombino a New York mentre scriveva un sms, non si è fatta niente, pensa se ci cascava una vecchia, però se avesse fatto una telefonata magari nemmeno cadeva, no? Fatto sta che in USA ora gli sms inviati sono superiori alle telefonate. Io non li amo essenzialmente perché i tasti del mio Nokia 6300 non sopportano più la grandezza dei miei polpastrelli, e al terzo errore mio sommato a quelli pazzi del T9, cancello tutto e chiamo direttamente.
Questo blog sa bene che gli sms servono solo per fare pace dopo una litigata con la gattina del periodo, in virtù del nostro amico Cicerone (la lettera non arrossisce), o per prendere un appuntamento di lavoro con una persona che ancora non conosciamo bene, e se penso ai soldi buttati solo per scrivere “ok” in risposta ai vari appuntamenti, divento pazzo...
Quante volte su tutti i magazine che escono in allegato con i quotidiani ci sono periodicamente i consigli sul galateo del telefonino, quando l’unica cosa da sapere è questa: non appena il vostro interlocutore comincia a maneggiarlo, vuol dire che si è già rotto di stare con voi. Non avete notato che durante le cene per la prima ora e mezza tutti mangiano bevono ridono e scherzano, ma quando si passa in salotto a finire la serata cala il mutismo? Si sono accesi i cellulari, o meglio gli si è tolta la vibrazione, per vedere chi ci ha scritto, chi ci proponeva qualcosa di meglio ma all’ultimo minuto? Gli sguardi ebbri del vino della cena cadono sui telefonini e nessuno sa più cosa dirsi... Che tristezza: ma non ci eravamo visti per fare due chiacchiere? Che mi frega di chi ti ha scritto? Spegni quel cellulare e parla con me! Oppure te ne vai in bagno come Fabrizio Bentivoglio per rispondere a Monica Bellucci ne “Ricordati di me”. Ma siccome la Bellucci non te lo manda un sms è inutile che lo accendi. Sono esentate le madri apprensive con i figli rimasti a casa da soli con la tata, e anche in quel caso potrebbero attivare l’esclusione delle chiamate entranti eccetto quella da casa (senza contare che i loro figli stanno chini su messenger mentre la tata manda gli sms con previsioni di rientro dei genitori in questione).
Ma tanto, se addirittura a Catherine Deneuve squillò il cellulare in chiesa a Parigi durante il funerale del suo Marcello Mastroianni, che vogliamo fa’?

martedì 20 ottobre 2009

O me o la musica!



Un ragazzo suona benissimo la tromba insieme alla sua band a una festa di matrimonio, di colpo irrompe la sposa, i due si riconoscono, stavano insieme tempo fa... oggi lui suona alla sua festa, un po’ meno festa: immaginiamoci lei che va dal fresco maritino a chiedere “chi diavolo ha chiamato QUELLA band?”.
Questo spot, vecchio e meraviglioso, deve andare in onda tutti i giorni su tutte le reti prima dei tg di qualsiasi ora. Serve da monito a tutte, e direi anche a tutti...
Quello che mi fa impazzire, è che lei rosica da morire, in un attimo capisce tutto: è lei che ha sbagliato a lasciarlo con quel diktat “o me o la musica” e si è appena sposata un imbecille che non verrà mai ammirato da nessuno, si è sposata uno che magari le farà fare due settimane a Cortina d’inverno, e un mese in Turchia sul caicco d’estate, contenta? E poi niente, il vuoto pneumatico. Invece lei ora guarda quello che avrebbe potuto essere il suo ragazzo (lui non l’avrebbe mai sposata “non ce ne è bisogno per due come noi”), un uomo libero che si guadagna il pane suonando, ogni giorno diverso dall’altro, che può tornare a casa o meglio rimanerci parecchio e prepararti la cena magari con una notizia pazzesca di lavoro da darti appena entri o magari un po’ triste sul sofa, la tromba sul tappeto. Con lui la tua vita sarebbe stata forse molto meno comoda ma non avresti avuto quella faccia non solo al tuo matrimonio ma tutta la vita. Forse ora hai una creditcard illimitata, quella di tuo marito, ma francamente non vedo che puoi farci di VERO. Pensaci meglio... dopo il divorzio, tra tre anni.
Lui invece è felice, perché ha capito in un attimo da quale guaio si è tolto, ha visto che futuro avrebbe avuto con quella al fianco, e ci suona sopra! Oltre al fatto che proprio a quel matrimonio, facendo la fila per andare in bagno, troverà la donna della sua vita!

PS: amici della Mastercard, rimettetela in onda, tutte le altre che avete provato a rifare sulla falsariga non reggono al confronto... e voi lo sapete benissimo.

lunedì 19 ottobre 2009

Macchina del tempo


Prendete coraggio, meglio un sabato mattina senza fretta, fuori un po’ di freddo, non molto. Il caffè è pronto, adesso massima attenzione, accendete il tostapane, ci mettete una fetta qualunque di pane, anche quello in cassetta, quello che avete, quando è tostato, mentre vi scottate per appoggiarlo su un piatto prendete il BURRO, lo spalmate, prendete la MARMELLATA, la spalmate, con il pollice e l’indice della mano destra inzuppate e portate alla bocca: E SI PIANGE!
Provatelo: è l’unica vera macchina del tempo che esista, pane burro e marmellata, e vi dico anche come mai: è il burro che si scioglie sul pane tostato. Ormai la dieta non prevede l’utilizzo del burro visibile, quello che dovremmo avere a casa ma non abbiamo il coraggio, uno su tutto LURPAK, che già il nome, ma che comunque al ristorante ci mettono in ogni piatto a nostra insaputa: “ma come fanno a farlo così buono?” c’è il burro, ve lo dico io, ché l’ho visto fare. Quando invece si ha coraggio e lo si spalma in essenza sul pane e lo si vede sciogliere lentamente, già ci si forma la bavetta, il mix con la marmellata è storia, il contatto con il caffè caldo e i piccoli cerchi del burro sciolto nel laghetto scuro del caffè sono strazianti!
Se poi si ha l’accortezza di preparare per l’occasione un caffè con la macchinetta, Bialetti, non quelle finte, nel momento in cui echeggerà nella cucina vuota il gorgoglìo dell’uscita, vi troverete senza volerlo con quella vestaglia a scacchettoni, la luce di taglio che entrava dalle veneziane delle case del centro senza persiane, il freddo della cucina la mattina alle sette e mezzo, Nonna che aveva già fatto colazione all’alba e tu con quel panino che aveva il solo compito di nutrirti e non quello di alzare sensi di colpa da combattere alla pesa da Migliaccio, mentre guardavi il tuo futuro nella tazza del caffellatte, ovviamente senza saperlo. Ogni mattina cominciava con l’odore dell’erba appena tagliata dentro di noi anche in città...
Oggi possiamo morire di trigliceridi ma non siamo mai stati così vivi con una fetta pane burro e marmellata.

venerdì 16 ottobre 2009

Guarda che luna! Andove?


Rubo l’argomento all’amico disbanded e commento la photo (quelle di Annie hanno tutte il ph davanti) di Annie Leibowitz su quei tre che guardano il cielo e non vedono la luna su un vecchio carro sporco, sul cophano non vista da molti la Vuitton, aperta come si deve (come si usa a Roma, e poi le phinte bionde si lamentano se gli rubano il cellulare e il borsellino...).
Allora è ovvio che l’errore “perché non guardano la luna?” è dell’inetto assistente della Leibowitz che non ha adoperato bene PhotoShop. Ma la colpa è alla phine della Leibowitz, che invece di tenerlo a studio per le sigarette gli permette pure di ritoccare la photo. Come sapete Annie non ha più una lira e tutti i soldi li ha sperperati phollemente per allestire i set pharaonici delle sue photo, ovvio che si sia tenuta accanto un dephiciente come questo, è solo un altro dei stupidi errori.
Ma per il grande apphetto che nutro per la vecchia maga dell’obbiettivo
vorrei considerare altri motivi per cui in realtà la luna è là.
I tre, Sally Ride, prima donna dello spazio, Buzz Aldrin, secondo uomo sulla luna, e Jim Lovell, comandante della missione Apollo XII guardano il cielo e non la luna, (“Che ci phrega? In un modo o nell’altro ci siamo STATI!”).
Oppure guardano l’atterraggio di uno Shuttle (“Dite che gliela pha’?” “Non credo, co’ sta luna...)
Oppure hanno phinito il carburante, del resto a quel camion è un po’ che nessuno ci si avvicina, e in attesa della saphety car si guardano il tramonto.
Oppure non si sono accorti della luna. E nemmeno della Vuitton che è aperta e dalla quale sbuca un binocolo (per vedere la luna? Non credo...)
Ma come la metti la metti, alla Vuitton sono phelici che tutto il mondo si stia chiedendo come mai la luna è lì e non i loro sguardi, e quindi Annie Leibowitz ha phatto un’altra grandissima photo.

PS: qui vedete tutta la campagna e suoi assurdi costi. E siccome la photo è straziante qui scaricate il wallpaper

giovedì 15 ottobre 2009

Signore e Signori, tanti auguri!


Oggi compie gli anni Mariolina Cannuli, da sempre considerata la più sexy delle annunciatrici della Rai Tv. La Rai. Quella Rai. Che aveva a casa sua ospiti della classe della Signora Cannuli. Che in un annuncio secco, senza sbrodolamenti e con sorrisi fermi e asciutti, diceva tutto e ci rassicurava perché molti di quegli annunci erano IN DIRETTA. Quindi voleva dire che alla Rai c’era qualcuno che controllava. Erano loro, sedute su una sediolina a fare l’uncinetto tra un programma e l’altro a controllare che tutto funzionasse: se magari s’interrompeva un programma, loro correvano in regia ad avvertire e si precipitavano a dirci “adesso ricomincia, tranquilli!” Insomma come Nonna quando eravamo malati a letto e ci leggeva una favola.
M’immagino una giornata tipo di Mariolina come di tutte le altre, la mattina a Via Teulada dal parrucchiere mentre ripassavano i programmi da annunciare (mica avevano il gobbo elettronico e le occhiate al foglio che tenevano in mano erano fugaci come quelle nostre al foglietto che ci passavano durante il compito in classe), un po’ di trucco commentando i programmi della sera prima, un vestito e via davanti la telecamera ad aspettare il turno. La sera tornando a casa potevano guardarsi un po’ di televisione e vedere in bianco e nero la collega che era arrivata e che le aveva dato il “cambio”. Per tutta una vita per strada si sono sentite chiedere:
- Stasera che fanno in televisione?
E loro senza una piega glielo dicevano con quella dizione perfetta e cristallina senza sbavature e ovviamente con un sorriso.
Cara Mariolina, stasera spegni le tue candeline tranquilla: non c’è niente da vedere, tantomeno da annunciare. Tanti auguri!

mercoledì 14 ottobre 2009

Giro di boa


Stamattina si sveglia alle 0730 come sempre, una passeggiata per le vie del centro a cercare se stesso nelle viuzze che conducono ai templi, poi un caffè da Canova col barista juventino ma che serve il cappuccino freddo più buono di Roma. E su un tavolino legge un paio di quotidiani, fa un po’ di spesa, va a prendere la figlia a scuola e pranza con lei.
Il pomeriggio va alle prove, parla, ride, commenta, con i suoi compagni di lavoro. Verso sera torna a casa. Ma una cena lo attende al Bolognese con la moglie e la figlia. Perché quest’uomo oggi gira una boa, quella che non ti permette di tornare indietro perché è la boa più spaventosa della nostra vita, quella del bilancio a consuntivo: che ho fatto, che farò, o meglio che potrò fare? E allora vuole guardare negli occhi la sua famiglia per tirare una somma. Ci sono altre boe in questa regata pazza che stiamo facendo senza motivo, e ognuna di queste si muove come fosse legata a un elastico, a seconda dell’umore che abbiamo le vediamo vicine come una foto macro o lontane come un miraggio. In realtà queste ultime sono quelle più vicino e sono quelle dobbiamo affrontare meglio, le altre anche se le sentiamo ancora vicine, in realtà le abbiamo perse PER SEMPRE. Tanto vale affrontare quelle che ci guardano ancora con un’aria di sfida che dobbiamo raccogliere, l’occhio deve puntarle come una freccia, col trucco che inconsapevolmente abbiamo utilizzato per le altre: l’indifferenza. Solo così potremo arrivare con scioltezza a quelle strambate che ci attendono con un colpo di reni e un sorriso sarcastico. Si, voglio stare al winch come un pazzo che agita quei bicipiti, perché NON VOGLIO FARE ALTRO che girare come due mulinelli quelle braccia, perché io voglio andare avanti, per cazzare o mollare la randa della mia vita! E anzi, adesso alzo anche lo spinnaker!
Stasera giro di boa? Ah ah ah, no... CHAMPAGNE!

sabato 10 ottobre 2009

Vendesi a New York City


Nella città di New York, al 222 della 61esima all’incrocio con la 3a avenue
c’è una casa in vendita. Bella, direi, a giudicare da questa foto.
Chissà quanto costa, perché chi la prende non può fare un mestiere qualsiasi. Alla mia amica Maria, NYC resident, è capitato, in quanto tale, di avere ieri sera un date per un altro appartamento, proprio lì, e alla frase dell’agente immobiliare, che indica quella casa come di una scrittrice italiana, con l’italiano stentato:
- Did you know Or... ienna Flàcci?
- Eh? Oriana Fallaci, vorrai di’!
si è catapultata dentro supplicando una visita all’appartamento.
Ma come è possibile che una casa appartenuta a un mito adesso vada in mano a non si sa chi? Non si potrebbe chiedere un certificato di idoneità per abitare case importanti? Magari ci va un rapper miliardario e in quella libreria che ha visto la qualunque ci mette i cd dei suoi colleghi o gli hard disk delle sue prove in studio (pensa che capolavori!), e sopra il caminetto il cartonato della sua sagoma altezza reale, in previsione del lancio del suo nuovo cd. NO! Voglio parlare quindi con il futuro resident. Sia chiaro che lì dentro si fumano solo sigarilli Nat Sherman, si trovano in un solo tabaccaio, a downtown credo, è inutile che fumiate altro, le pareti assorbono solo quel fumo, si lascia tutto come si trova e basta! Sappiate anche che lì dentro si è cucinato benissimo e si sono passate serate memorabili. Rimanete all’altezza quando fate gli inviti, please. Sappiate che durante la notte vi capiterà di sentire in lontananza l’inconfondibile ticchettio di un’Olivetti lettera 32. Avrete quindi a che fare con il fantasma dell’Oriana, e la sera, prima di andare a dormire fatele la cortesia di farle trovare una stecca di quelli di cui sopra.
In quella casa era difficilissimo entrare e facilissimo uscire. Per sempre. Chiunque riesca mai a comprarla se lo ricordi.
Ma forse non succederà.
Niente. E così sia.

giovedì 8 ottobre 2009

Papà, senti quanto sono bravo!



Ditemi se di questo pezzo fantastico dei" Was (not Was)" cantato dal figlio omonimo di Frank Sinatra (pensate ai problemi in gioventù), il padre non avrebbe dovuto essere orgoglioso del figlio. Ma forse lo è stato talmente tanto da rosicare e da non fargli nemmeno un complimento. Anyway siamo al David Letterman Show, in una serata del 1993.

martedì 6 ottobre 2009

Può capitare una mattina


Può capitare una mattina che, alzati storti per motivi che rifiutiamo di conoscere (troppe vodke, troppo tardi, troppo fumo, troppi pensieri, troppo e basta), ci aspettiamo lo svolgimento ugualmente storto della giornata in questione. E invece ci rendiamo conto che MIRACOLOSAMENTE tutte le piccole cose quotidiane vanno DA SOLE.
Dal giornalaio arriva la copia di Repubblica in automatico senza aspettare la vecchia che deve capire se prendere l’allegato di Tutto Uncinetto. Al nostro bar c’è folla, nemmeno salutiamo e ci avviciniamo al bancone, nemmeno ordiniamo e arriva il caffè, il solito, come lo vogliamo noi, nemmeno pensiamo di desiderare un cornetto che una voce dice:
- Chè vuoi un cornetto?
ed è già in mano caldo fragrante, quello che ci piace di più. A nuoto non c’è nessuno che fa dorso accanto a te in corsia e quindi non ti sbatte il braccio in faccia a ogni passaggio. In ufficio ti apre la porta la ragazza che ti è sempre piaciuta e per una volta ti chiama per nome.
Ecco, questa giornata che è cominciata storta ma che, per miracolo da sola sta andando bene, dobbiamo aiutarla a finire meglio e quindi prima di pranzo già prenoto il ristorante per la gattina, magari la stessa che ci ha aperto la porta in ufficio, con questa battuta per esempio:
- Visto che stamattina mi hai aperto la porta, vorrei anche che me la chiudessi in faccia stasera dopo che ti ho portata a cena, ok?
Se ride, è fatta! Adesso, massima attenzione, mi predispongo a far andare tutto bene io, non posso sbagliare niente e niente può mettersi di traverso, al ristorante esigo il tavolo più intimo ma più vicino alla cucina per l’ansia di mangiare, mi vesto meglio e mi metto pure un completo tiè, blu ovviamente, la scarpa? Coi lacci, ok! La barba perfetta manco a dirlo, la camicia brooks, colletto slacciato as usual...
E quando dopo la cena splendida passata a chiacchierare di tutto lei dirà:
- Ti dispiace se mi fumo una sigaretta?
- No, figurati, anzi ti accompagno... (anche se non fumo!)
Perché io sento che la cosa più bella del mondo è accendere una sigaretta alla donna che ti piace. C’è un’intimità in quelle 4 mani che si avvicinano per quel gesto inconsulto che nemmeno tra le lenzuola di pelle d’uovo, in quel nido cova una promessa che nemmeno sull’altare. E quella lucina del Dupont che per un attimo illumina quel volto teso, quelle labbra che stringono, quelle narici che aspirano, è una sciabolata che in un lampo mi fa vedere il mio futuro. Era una giornataccia? Ma per carità!
Buona serata, se è cominciata storta!

lunedì 5 ottobre 2009

Brad Pitt mi dà ragione


Non è la prima volta che mi si copia, certo, ma alla notizia che Brad Pitt si è finalmente costruito la sua “caverna” dove mettere tutte le cosette che ha accumulato nella vita da single, cosa devo pensare? Sono anni che dico che la casa ideale, sede di una convivenza, è quella che prevede spazi separati. Lui l’ha fatta addirittura in giardino, una casetta, e ci ha messo oltre a svariati plasma (per vedere cosa vorrei sapere) anche le moto, un jukebox e altra paccottiglia pur di stare fuori dalle grinfie della Jolie e ritrovare se stesso in compagnia di pochi selezionatissimi amici, uno per tutti Matt Damon. Noi quella “stanza” la chiamiamo più amichevolmente studio, è la camera che meglio ci rappresenta, perché è lì dentro che mettiamo il meglio di noi, quando cioè eravamo bambini prima e ragazzi poi e nel Pantheon della nostra stanza ci vanno la collezione dei Topolino, o meglio dei Classici di Topolino, quelli vecchi senza numero sulla costa.
Tutti i dischi in vinile con piatto Technics regolamentare e ora che ci penso, visto che ormai in salotto la musica la sentiamo con un iPod attaccato a una cassa qualunque, nello studio rimontiamo proprio lo stereo della camera nostra, per capirci casse Indiana Line (collegate però con cavi molto affidabili da 100 € al metro, non con il cavetto rosso-nero), piastra JVC (per risentire tutte le cassette audio Basf o Sony del liceo, e che non abbiamo certo buttato, no? Anzi, adesso che le risento le rifaccio uguali nelle playlist di iTunes e me le rimetto sull’iPod), amplificatore Luxman, e sintonizzatore Sony. Ecco fatto, tutto funziona, mi sento meglio, e facciamoci un regalo: per il piatto ci compriamo una puntina nuova! Che bello ripronunciare queste parole, ve’?
Adesso tiriamo giù anche quella bella tastiera Roland (ormai un pezzo di ferro) e ci divertiamo a sentirci Beethoven per 15 secondi. Dove sono gli Oscar Mondadori di Hemingway e Francis Scott Fitzgerald che mi facevano sentire un eroe quando li leggevo a 16 anni? Eccoli lì messi tutti in ordine! Vicino ci metto l’hard disk del backup, no anzi lo nascondo nel cassetto della mia scrivania. Tutta la collezione delle riviste che ci piacevano e che oggi non esistono più, provate a sfogliarle di nuovo, piangerete davanti alle vecchie pubblicità di Vecchia Romagna etichetta nera o dei reggiseni della Lovable con quelle modelle anni 80. Le cassette betamax, e le vhs, il portacenere dello Squalo preso agli Universal Studios, e il diploma della scuola sci di Alba di Canazei.
Un piccolo frigo (Brad ha una ghiacciaia, buona idea) per metterci le birre, le coche light, una boccia di Krug, non si sa mai, una scatola di sigari, ormai siamo grandi, vorrei poter offrire un sigaro a un mio amico mentre ci sentiamo “Rubber Soul” che scricchiola sotto la puntina nuova, magari lui ha portato “Greetings From Asbury Park, N.J.” e ci sentiamo pure quello...
Non dimentichiamoci un divano, non solo per stare comodi ma per andarci a dormire la notte del litigio con la gattina della nostra vita, che proprio grazie a quel divano potrà essere risolto con una notte fuori dal letto d’ordinanza. Avremo con noi un vecchio plaid di cachemire blu della Elgin spruzzato di Oyedo per piangere di nostalgia, e il giorno dopo avremo quello sguardo di chi sa che da solo ce la può ancora fare!
Per una notte.