lunedì 26 gennaio 2009

Sette anime, sette note



Nel nuovo film di Gabriele Muccino, per la seconda volta regista al servizio di Will Smith, la colonna sonora, bellissima, è affidata a tale Angelo Milli, un ragazzo del 1975, che lavora a Los Angeles già da qualche anno per film non di prima grandezza. Ma questa volta Angelo ha fatto il colpo grosso, chissà perché chissà per come, è riuscito a fare le musiche per un film importante, una storia inusuale, interpretata da una star mondiale come Will Smith, un attore che ha fatto guadagnare centinaia di milioni di dollari alle compagnie cinematografiche degli Stati Uniti d’America, e che per la seconda volta vuole avvalersi di un regista italiano perché si fida ciecamente di lui e del suo personalissimo modo di raccontare una storia. Insomma per il nostro giovane Angelo Milli, che non aveva mai lavorato con una produzione così importante a livello mondiale, è arrivato il grande momento, sta per fare il botto. Tuttavia, ed è comprensibile in casi come questi, si può far caso come nella scena clou del film, una scena d’amore tra Will Smith e Rosario Dawson, nella quale ci si avvia al finale e dove tutto apparirà ormai chiaro allo spettatore, all’orecchio più accorto non sarà sfuggito che il brano musicale che fa da sfondo è un pezzo tratto dalla colonna sonora originale di un altro film “La leggenda del pianista sull’oceano” un film molto bello ma sfortunato al botteghino, girato da Giuseppe Tornatore nel 1998. Colonna sonora di tale Ennio Morricone. Forse un’idea di Will Smith? Riesce difficile crederlo, quando mai Will con tutte le cose che ha avuto da fare in tutti questi ultimi 10 anni, avrebbe trovato il modo di vedere un film che non è stato un successo? Più facile magari che Muccino si sia ricordato di un motivo struggente in un film diretto da un grande regista italiano. Quindi io mi chiedo: che è successo? Come mai per questa scena clou si è deciso di utilizzare questo pezzo, che s’intitola “The Crisis” e non il “Love Theme” che senz’altro Angelo Milli avrà composto? Io mi sono immaginato questo: Gabriele Muccino ha finito le riprese e ha preparato un premontaggio sul quale vanno “appoggiate”, come si dice in gergo, le musiche della colonna sonora preparate apposta da Angelo Milli. Ci troviamo in sala di proiezione, ci sono tutti, dagli assistenti del regista a quelli dei producer, tutti
sono schierati, per vedere l’effetto che fa: inutile dirlo, Muccino e Milli sono seduti vicino. Il film finisce, si accendono le luci. Tutto sembra andare per il meglio, strette di mano, il film è bello, le musiche perfette, un trepidante Angelo Milli viene quindi congedato tra i complimenti di tutti. Ma non appena esce dalla sala, Muccino si accomoda di nuovo sulla poltrona della saletta. Un’ombra appare sul suo viso, tra mille pensieri:
- Che succede Gabriele, tutto bene? - gli chiedono preoccupati
- Mah, ho un problema con la scena a letto tra Will e Rosario...
- Che succede?
- Non funziona la musica, non va, è bella eh? Però non mi prende, non so, non la sento “dentro”, io vorrei qualcosa di veramente coinvolgente...
- Adesso glielo diciamo subito ad Angelo, che problema c’è? Preparerà qualcos’altro, no?
- No, no... fermati, lascia perdere, se la musica che ha preparato per la scena d’amore è questa, è ovvio che siamo già al massimo delle sue possibilità, no? Piuttosto io avrei un’idea che s’intona anche bene al contesto generale del film.
- Che pensavi?
- C’è un film di Tornatore, “La leggenda del pianista sull’oceano”, lo conoscete?
- No, qual è?
- È quello del pianista che non scende mai dalla barca...
- Non mi ricordo.
- Vabbè, non l’ha visto nessuno, lo so, però era bello, c’è una musica, sembra una ninna nanna, ma all’interno c’è una dissonanza dichiarata, sembra una stecca, ma è talmente evidente che capisci dopo un attimo che è la forza del pezzo, secondo me è perfetta!
- Di chi è il pezzo?
- Ennio Morricone.
- Va bene, se ti piace, non ci sono problemi, chiamate l’ufficio acquisizioni diritti, fate la richiesta e via, non dobbiamo perdere tempo... Gabriele, noi non abbiamo problemi, se ti piace questo pezzo, per noi è ok!
- Scusate ancora una cosa, e mo’ ad Angelo chi glielo dice?
- Gabri, scherzi? Ci mandiamo Steve Tisch, è perfetto, gli parla lui, tranquillo!
Steve Tisch, il producer della Columbia Pictures, un uomo di esperienza, Will Smith in persona lo ha voluto al suo fianco per questo film difficile... e sarà proprio Steve a togliere questa castagna dal fuoco, delicatissima, a Gabriele Muccino.
Ed ecco quindi che Steve Tisch chiama il nostro Angelo Milli al cellulare per chiedergli se domani si mangiano una cosetta da “Dante’s”, proprio davanti gli studi della Columbia Pictures. Angelo non crede alle sue orecchie:
- Ma certo, Steve! Quando? Domani, alle 14? Ok, sono già lì, ti abbraccio, ciao, ciao...
Angelo chiude il cellulare e urla subito la sua gioia alla sua ragazza che è lì vicino:
- Amore, è fatta! È fatta! Adesso vedrai che mi darà un nuovo film, o forse mi farà un contratto, che meraviglia! Che cosa fantastica! Ti rendi conto, amore?
- Sì, Angelo, amore mio, io lo sapevo, ho sempre creduto in te, è arrivato il tuo momento... stasera si festeggia! O aspettiamo domani? È meglio, no? Per scaramanzia...
Il giorno dopo a Los Angeles: tra i rigatoni e le lasagne al pesto che sfrecciano tra i tavoli di “Dante’s” vediamo due uomini che parlano amabilmente con in mano un bicchiere di “Verdicchio” gelato:
- Dunque Angelo, voglio farti i miei complimenti personali per il magnifico lavoro svolto per “Seven Pounds”, noi siamo tutti contenti qui alla Columbia, davvero credimi, siamo... non so come dire, entusiasti, ho sentito commenti molto lusinghieri su di te e vorrei parlarti cinque minuti...
- Si, certo Steve, cosa posso fare per te?
- Abbiamo un piccolo problema che tu puoi aiutarci a risolvere.
- Di cosa si tratta?
- Ecco Angelo, vedi? Nella scena in cui Rosario dice a Will “mettiamo che l’operazione va bene, eccetera eccetera” ti ricordi?
- La scena d’amore?
- La scena d’amore, esattamente, abbiamo visto o meglio abbiamo sentito, e insomma... Gabriele, che ti ricordo, è il regista del film, ha deciso, avrebbe deciso di utilizzare un altro sottofondo, un tema d’amore diverso da quello proposto da te...
- Ma come? Proprio il tema d’amore? Ci ho lavorato così tanto, ci ho messo l’anima, dannazione! (un po’ parla cosi Angelo...), Comunque ne posso scrivere un altro, dammi due giorni Steve, e ti porto un'altra idea.
- Sono d’accordo, anche se ti devo dire che Gabriele ha già deciso, ha già un’idea in testa, ha già un altro pezzo pronto.
- Ah! E di chi sarebbe questo pezzo?
- Ennio Morricone!
- Ah, Ennio Morricone... e perché proprio lui?
- Ma che ne so, quelli sono italiani, vallo a sapere, che ti frega, sarà amico del figlio, gli avrà detto che al padre gli faceva piacere, tra l’altro pensa, non l’ha nemmeno scritto apposta: è un pezzo vecchio, del 1998, preso da un altro film che non l’ha visto nessuno, “La leggenda del pianista sull’oceano”, quello di Tornatore...
- La leggenda di che?
- Lo vedi? Non lo conosce nessuno...
- Si, però questa è una sostituzione in piena regola...
- Ma no, è solo un pezzo, e poi Angelo, in fin dei conti se proprio vuoi parlare di sostituzione stiamo parlando di Ennio Morricone, mica dell’ultimo arrivato... (come te Angelo! Questo lo dico io, non Steve Tisch)! Ti chiedo quindi un piccolo passo indietro per il bene del film, sono sicuro che lavoreremo presto di nuovo insieme, ok?
Insomma, a malincuore, ma Angelo accetta di buon grado una decisione legittima presa da un regista che in questo caso si rivela anche “autore”...
Dissolvenza, la sera della prima: Los Angeles, Mann Village Thatre a Westwood, arriva Will Smith nella limousine insieme a Muccino e alle loro first ladies, tappeto rosso, fotografi impazziti, tra i protagonisti della serata anche l’autore della colonna sonora, Angelo Milli, qualche flash anche per lui, perché no? Ci sono gli amici che è riuscito a far invitare e che finalmente possono salutarlo come una star al di là delle transenne chiamandolo a gran voce:
- Angelo! Angelo! Ciao! In bocca al lupo: vedrai, sarà un trionfo!
- Grazie ragazzi, ciao, ci vediamo dopo...
Tutti si accomodano in sala, cominciano i titoli di testa salutati uno per uno dagli applausi del pubblico, anche il nome di Angelo ha un cartello a parte: la sua ragazza gli stringe la mano felice.
Dopo due ore il film finisce, è andata bene, il pubblico si è commosso, è un film che farà discutere, è una storia importante, densa, sul senso di colpa, sulla voglia di espiare, insomma tutto ok, finalmente la tensione si scioglie in un grande applauso per tutti e nel foyer ci si rilassa in attesa della cena. Cominciano i primi complimenti: tutto il cast si trova ora a contatto con gli amici e gli addetti ai lavori.
Will e Gabriele ovviamente al centro della scena, tutti si congratulano, Gabriele non sa più dove posare lo sguardo, Will non lo molla un attimo e continua a dire a tutti : “My director, mio reggista, ah ah ah! Bravo, bravo, bravo!”. E proprio in quel momento Muccino intercetta lo sguardo di Angelo Milli con il quale non si erano più rivisti da quel giorno dalla presentazione della sua colonna sonora:
- Angelo ti ringrazio - gli fa Gabriele - hai fatto un gesto di grande generosità e te ne sarò sempre grato!
- Gabriele, ci mancherebbe altro, tutto per il bene del film!
- Grazie Angelo, grazie, ottimo lavoro, ci vediamo dopo...
Addirittura Will Smith gli stringe la mano e guardandolo negli occhi gli dice:
- Bravo Angelo, I know, you were so good with Steve! Thank you, thank you!”
Angelo si gira, tutti i suoi amici, lo guardano ammirati: Gabriele Muccino gli faceva i complimenti! E Will Smith addirittura gli ha preso la mano, non lo mollava un attimo. Adesso tocca a loro:
- Angelo, Angelo, hai visto? Che bello, che meraviglia, bravo! Che musica, che colonna sonora, pazzesca!
Angelo si schermisce, è stravolto, mille pensieri gli balenano in testa, ha fatto senz’altro bene, ha fatto benissimo a fare un passo indietro con Muccino, e poi solo per un pezzo, tutta la colonna è sua, qual è il problema? Ma sì, che gli frega, la vita è bellissima, voglio salutare i miei amici, guarda come sono contenti:
- Ragazzi! Eccomi, grazie per essere venuti, vi è piaciuto il film? Bello, eh? E le musiche?
- Mamma mia, Angelo, ma come hai fatto? Sono stu-pen-de. E poi, quel tema d’amore: ti posso dire una cosa? Manco Morricone ci sarebbe riuscito!

mercoledì 21 gennaio 2009

I wanna be someone else in this moment!



E domani mi compro pure quel tappeto!

martedì 20 gennaio 2009

Yes, I am!


Oggi alle 18 la parola speranza entra a far parte del nostro vocabolario, perché quando un uomo decide cosa vuol dire “avere un sogno” e cosa può voler dire crederci fino a realizzarlo, quest’uomo da un nuovo significato alla parola speranza...
Stiamo parlando di un uomo che ha intrapreso un viaggio lungo 700 giorni e che oggi in un minuto finalmente lo concluderà nascendo davanti a un uomo che in quel minuto civilmente morirà.
Un uomo che per primo nella storia dei suoi colleghi ha preferito farsi scattare la foto ufficiale con una macchina fotografica digitale senza flash e per la cronaca scattata martedì scorso 13 gennaio alle 17,38 (ora di Washington) da Pete Souza, con una Canon EOS 5D Mark II con una lente da 105 mm, apertura a diaframma 10, tempo di 1/125 e ISO 100.
Un uomo il cui computer è ovviamente un Mac e non poteva essere altrimenti.
Un uomo che vuole sapere ancora dalla viva voce degli insegnanti come vanno le sue bambine a scuola.
Un uomo che tornando la sera negli appartamenti della casa più brutta e più famosa del mondo, la Casa Bianca, so che sarà capace di fare un massaggio al collo alla moglie se lei glielo chiedesse.
Un uomo che quando sale un qualsiasi tipo di scale le affronta come uno stambecco innamorato, lieve ed elegante, un uomo per cui è lo stile che fa la persona e non viceversa.
Un uomo che durante una sera di un anno fa mi ha fatto innamorare di un’idea che non aveva ancora un nome e che oggi ancora mi manca.
Un uomo che nel momento più topico della sua campagna elettorale non ha esitato a interromperla per andare a salutare la donna che lo ha cresciuto, sua nonna e che non sarebbe sopravvissuta fino a vederlo vittorioso.
Un uomo che tra poche ore davanti a due milioni di persone, ne avrà una soltanto alle sue spalle, che un minuto prima era dietro le spalle di uno zombie che ricambierà con un ghigno il sorriso che riceverà.
Quell’uomo oggi diventa Presidente degli Stati Uniti d’America e quell’uomo si chiama Barack Obama.

giovedì 15 gennaio 2009

Donne che tornano a casa la sera


Le donne che tornano a casa la sera sono quelle donne che magari si sono alzate alle 6, hanno fatto piano per non svegliare quell’orso che gli ronfa accanto, hanno preparato la colazione per tutti, hanno svegliato i figli lentamente per non stressarli, per non fargli cominciare la giornata senza un sorriso.
Poi si vestono e si vestono carine, perché sono donne, accompagnano a scuola i figli, e li aiutano ad attraversare la strada.
Poi vanno a fare la spesa al mercato mentre controllano l’orologio per non fare tardi in ufficio, e solo in ascensore riescono a chiudersi l’ultimo bottone della giacca, perché prima non hanno fatto in tempo, e poi vanno a chiudersi in bagno per truccarsi quel minimo che gli faccia ricordare che sono donne.
E poi “cominciano” la giornata con i sorrisi a tutti, ai colleghi, a quel capo, cui devono dire sempre si e che non le molla un attimo, anche perché sono donne. Poi mangiano a pranzo una barretta, perché sono donne, e devono essere sempre in forma e la sera non gli va di fare la figura di quella che sta sempre a dieta.
Il pomeriggio scorre lento e quando si accorgono che è ora di andare è già tardi per andare in palestra o per fare due passi e allora tornano a casa la sera ma prima vanno al supermercato sotto casa a finire la spesa che avevano cominciato la mattina e quando poi escono da lì, è in quel momento che io le vedo con i sacchi della spesa, è in quel momento che vedo quello sguardo al confine tra la giornata appena passata e la serata che sta per cominciare.
Comincia aprendo la porta di casa, i compiti da controllare dei figli, la telefonata dell’amica triste perché è stata lasciata, il broncio del marito che arriva stanco perché lui è stanco, perché lui ha lavorato, lui ha costruito un’autostrada, perché nessuno lo capisce in quel posto,
ma loro, le donne che tornano a casa la sera, lo capiscono e gli danno una carezza rassicurandolo che andrà meglio mentre preparano la cena. E a tavola mentre mangiano e parlano e sorridono pensano già a domani.
Sono donne che si buttano sul divano e gli va bene tutto quello che fanno in tv, perché non scelgono loro, ma va bene lo stesso perché sono stanche e dopo un quarto d’ora già dormono come bambine. Poi si alzano e mettono a dormire i loro bambini, perché sono donne. Poi vanno in bagno, si struccano e si mettono una crema, e allo specchio riescono ancora a vedere la ragazza che erano, e sono contente.
E magari di notte, prima di dormire, sfinite, riescono anche a sciogliersi, e a scioglierci, in un abbraccio nell’intimo di quel letto che guarda stupefatto. Queste sono donne che tornano a casa la sera.

lunedì 12 gennaio 2009

Mr. Smith & Mr. Rossi



“Il mio nome è Bond, James Bond.” Come molti questa frase io non la potrò mai dire. Però potrò dire questa: “Il mio nome è Rossi, Riccardo Rossi!” Com’è? Non è la stessa cosa, certo, eppure devo ringraziare il mio nome peraltro stupendo (il nome del re dei re è stata la giusta ricompensa al destino qualunque), per aver fatto almeno un po’ di differenza dai milioni di Signor Rossi presenti in Italia. E sia chiaro che non voglio sapere quanti sono in Italia i Riccardi. Questa storia mi ha dato delle rogne sin da piccolo, fin dai primi appelli nelle enormi palestre della scuola elementare:
- Rossi, quale? Riccardo, Edoardo, Valerio o Tommaso?
- Riccardo, Riccardo! - urlavo, per non perdere il minimo briciolo di identità che già sentivo incombere da questa pericolosa omonimia.
Ma alla fine in classe nessun omonimo ma quando la signora maestra cominciava a dire:
- Facciamo un esempio: siamo al mercato, il Signor Rossi compra due mele...
Tutti i compagni di classe si giravano guardandomi per chiedermi dove avevo messo le mele. Sono stati gli esempi, a ben pensarci, la condanna. Anche al corso d’inglese: la teacher parlava di Mr. Smith, di come doveva chiedere un’informazione, ma poi s’informava sul nostro equivalente in Italia e gli rispondeva un coro che mi indicava:
- Mr. Rossi!
Ma la vita mi riservava altre sorprese. Quando esce un film a cartoni animati di Walt Disney: Gli Aristogatti, film pazzesco, da subito uno dei miei preferiti, cosa ho letto nei titoli di testa? Matisse, il gattino musicista era doppiato da Riccardo Rossi! NON ERO IO! E poi, aani dopo Matt Dillon, in “Rusty Il Selvaggio” era doppiato da Riccardo Rossi! NON ERO IO! E cosi via, addirittura il giovane Robert De Niro nel capolavoro di Sergio Leone “C’era una volta in America” era doppiato da Riccardo Rossi! NON ERO IO!
Insomma il mio omonimo totale era quindi pure un attore doppiatore con la differenza che la mia voce non è quel flauto aggraziato capace di tubare e d’intimorire. No, la mia voce ricorda piuttosto uno sgraziato raglio, spesso rauco, in nessun modo poteva sposarsi a quei volti di Hollywood. E gli equivoci sono cresciuti di conseguenza a dismisura, vista poi la similitudine dei nostri rispettivi lavori. Appena incontravo un amico si affrettava a congratularsi per un merito non mio:
- Ti ho sentito nel film. Ammàzza questi microfoni che meraviglie che fanno... (riconoscendo quindi la sgradevolezza della mia voce).
- Guarda che non sono io, ma il mio omonimo doppiatore!
- Ah, ti doppiano pure?
- NO! Ho detto “mio” riferito a omonimo, non a doppiatore. A me non mi doppia nessuno! (Dativo superfluo ma rafforzativo).
Fatto sta che addirittura gli equivoci sono aumentati. Una società che realizza spot radiofonici mi chiama per fare uno speaker:
- Riccardo, vieni qui in studio per un turno domani alle 15?
- Certo, molto volentieri... - rispondo volenteroso e propositivo.
- Ah no, scusa non sei Riccardo Rossi...
- Si, invece... - già temendo il riconoscimento in agguato.
- Si, ho capito “quel” Riccardo Rossi, scusa, abbiamo sbagliato, ciao.
Ma non si ricordano e mi richiamano dopo un mese:
¬- Riccardo, vieni qui in studio per un turno domani alle 15?
- Certo, molto volentieri...
- Scusa, ciao! CLICK!
Insomma, due vite, due facce, due voci, ma un solo nome: per fortuna che c’è Riccardo? Mah...

venerdì 9 gennaio 2009

What a feeling! Ma de che?


Le palestre come le intendiamo oggi, anni fa non esistevano. C'erano le palestre di pugilato con una puzza di magnesia e sudore che era un cocktail micidiale, sotto lo Stadio Flaminio, costava 5000 lire all'anno, gli spogliatoi erano impraticabili. Invece verso i primi anni 80, sul modello delle palestre americane, nasce la palestra come luogo per il fitness. Come non c'erano le palestre, non c'era nemmeno il tipico abbigliamento sportivo che è poi esploso con Flashdance, e l'aerobica con la videocassetta di Jane Fonda: anche nelle palestre si faceva la lezione con il videoproiettore quindi tutti con gli scaldamuscoli, le fasce, i top, i fuseau, le canotte sportive, tutto di Dimensione Danza, se no eri fuori. In palestra sono quindi comparsi cartelli come questo: "La direzione prega i gentili soci di indossare solo pantaloncini aderenti alla gamba". Perché gli unici pantaloncini che esistevano una volta erano quelli da calcio, larghi, che potevano far intravvedere qualsiasi cosa a chi sbirciava nei piegamenti. Per cui ecco “nascere” i pantaloncini da ciclista, aderenti, e tutti ne hanno approfittato per mostrare la mercanzia, uomini e donne, solo per vanità. E fino a quando vedi le forme rotonde di una donna, va benissimo, è meraviglioso con quei lombi di tutti i colori con il filo interdentale in mezzo, ma quando ti si parano davanti questi pacchi mostruosi con la scusa dei pantaloncini aderenti, non si può vedere: tanto poi è quasi tutto finto, nel senso che come smonti i sospensori è tutto nella norma. Te ne accorgi nello spogliatoio, lì non mi freghi, perché l'occhiata la butti sempre:
- Lo voglio vedé 'sto mostro, lo voglio proprio vede'...
E infatti raramente puoi ammirare il bronzo di Riace, gli casca tutto, ciò nonostante, la vanità è troppo forte: alcune docce dello spogliatoio si trovano davanti agli specchi dei phon attaccati al muro. Ma quando gli uomini si fanno la doccia con lo specchio davanti, non resistono e con il bagnoschiuma si danno un'insaponata storica, fuori dalla doccia, guardandosi allo specchio parlando con quello accanto: vuoi chiudere quella porta? Che m'importa di vedere come te lo lavi?
E gli orari? Ci sono le fasce orarie anche in palestra. Alle 8, all'apertura cioè, ci sono solo i vecchi, che si alzano presto, alle 11 arrivano le mamme belle giovani e ricche che hanno accompagnato già i bambini a scuola, dato gli ordini per la spesa alla filippina, e quindi finalmente hanno un'oretta per farsi l'aerobica; alle 1305 arrivano tutti i commercianti che hanno la pausa pranzo fino alle 1530, e sono quelli che fanno più inferno di tutti, quando escono loro dalle docce, lo spogliatoio si trasforma nel lago di Bracciano, alle 1530 arrivano tutti gli avvocati che escono dai tribunali e li riconosci dai vestiti tutti di grisaglia grigia, e dalla lentezza con la quale si rifanno il nodo della cravatta alle sei meno un quarto, hai capito perché quando li cerchi a studio non li trovi mai? Stanno in palestra a rifarsi la cravatta. Di pomeriggio arrivano gli studenti, come è ovvio, quelli fichetti, non quelli che vanno a nuoto o a inglese o a pianoforte, questi vanno già in palestra. Alle 1805 arrivano tutti quelli che escono dagli uffici, e che hanno la pausa pranzo troppo corta, sono tutte segretarie, è l'ora in cui si rimorchia di più, la commistione di questo gruppo con quello delle 1935, la chiusura dei negozi con tutte le commesse che arrivano trafelate per non perdersi la lezione di Carlo, che come lo fa lui lo step, lévate, è da paura: da quel momento non si può più andare in palestra se non per il rimorchio. E poi le macchine, che alla fine dell’allenamento ti salutano con la scritta “OTTIMO LAVORO!”. Però se ti si ferma accidentalmente appena hai cominciato che scritta si accende? “OTTIMO LAVORO!”, e allora sei una sòla...

mercoledì 7 gennaio 2009

7 gennaio


Il 7 gennaio si torna a scuola, allora sono le 0715, suona la sveglia, si accende Radio Due con Ughetta Lanari che da il buongiorno e la musichetta di Bacharach “Do you know the way to San Jose”, (no, non la conosco, chieda alla guardia!) Si fa colazione con il caffellatte e i Gentilini, due novellini con il burro e la marmellata in mezzo, oppure un po’ di ricotta. La cartella è fatta dalla sera prima, un salto dal vapoforno a prendere un po’ di pizza rossa, quella del fornaio, che è un’altra cosa, ma ogni volta ti schiaccia le due facce con il pomodoro l’una contro l’altra e ogni volta non fai in tempo a dirglielo che lui te l’ha già incartata, e già si è rivolto a un’altra signora “Altro?”. Andiamo, si prende l’autobus: l’1, che scende davanti a scuola, la Guido Alessi, si entra di lato, si fanno le scale e alle 8 e mezza entra la maestra, Signora Di Guardo, avete fatto i compiti? Si, ma de che? Al massimo ho letto l’inizio della poesia di Guido Gozzano, “La Notte Santa”:
Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell'osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono e troppo stanca sei. Il campanile scocca
lentamente le sei.
E ricomincia tutto: prendete il sussidiario, quanti anni sono che non dicevamo questa parola? Vabbè lasciamo perdere... 1030, la ricreazione, finalmente apro la carta della pizza, che con l’unto ha sporcato tutti i quaderni, la apro, è gelata! Una faccia della pizza è bianca molliccia, l’altra non è rossa, è rosa, tutto il pomodoro è uscito fuori, sta tutto sul bordo della carta velina, me la mangio in un attimo, ma non faccio in tempo che la maestra urla, “Fermi, perché Fabio ha dimenticato la merenda a casa, quindi facciamo “centino”: un pezzetto della vostra merenda per uno a Fabio”, io ovviamente gli do quella bianca liscia come una triglia. Poi si ricomincia fino alle 1230 con il libro di letture, poi il temino: che avete fatto a Natale? Niente! Fine del tema. Suona la campanella, arrivederla! Sbrigati che passa l’autobus, l’1, scambio delle figurine alla fermata dell’autobus, io no calciatori, mia madre non voleva, solo “Vita e Colore”, non la faceva nessuno questa collezione di natura, un emarginato da sempre, sempre ai bordi della società, pure nelle figurine. Poi a casa, ecco pronti i petti di pollo, solo da scaldare, poi niente televisione, non c’era, c’era solo il monoscopio con “tuu”, subito i compiti, non c’era la play. Sbrigati: fai la borsa del nuoto, metti il costume, gli occhialetti, l’accappatoio, l’hai preso lo shampoo? Oddìo la cuffia, ariprendi l’1, sempre quello, scendi quattro fermate dopo la scuola, vai in piscina: “Ma come ti tuffi? Salame! Stenditi con le braccia, comincia 10 vasche a stile, battile quelle gambe, poi a rana, non la mettere tutta la testa sotto, solo fino agli occhi, forza, più veloce, prendi la tavoletta, mettiti dritta quella cuffia! Aho, due settimane che non venite e già vi siete dimenticati tutto, andate negli spogliatoi, ci vediamo venerdi, ciao!”. Fatti la doccia, non litigare, fattela insieme a Luca, che ti frega? Forza, asciugati i capelli che fuori fa freddo, hai fatto merenda? Pane burro e sale, una bomba che se ci proviamo oggi manco una settimana a Chianciano, sbrigati che devi andare a inglese, alla English School, tema: “How I spent my Christmas Holiday”: I went to my uncle to dinner etc etc... poi ariprendi l’1? No, il 39, torna a casa, disfa la borsa, metti l’accappatoio in bagno sul termosifone, se no fa la muffa, hai lavato il costume? Si, con lo shampoo sotto la doccia! Hai fatto i compiti? Si, c’era solo storia, la so la so, no, non è vero ripassa, vienimela a dire in cucina, no dài adesso e pronto: comincia il telegiornale di sottofondo, con Ruggero Orlando da Nuova York. “Che avete fatto oggi? Niente? Come niente? Che ce li mandiamo a fare a scuola questi se non fanno niente? A tavola era il momento più tragico ma poi finalmente ecco la musica più bella del mondo: Carosello. Ma non fai a tempo a riconoscere l’ultima scenetta che è già finito e arriva l’urlo: A LETTO DOPO CAROSELLO!
Era il 7 gennaio, ma del 1973!

martedì 6 gennaio 2009

Santa Immondizia


Con oggi 6 gennaio 2009 si chiude definitivamente il 2008, difatti il “vero” anno solare comincia il 7 gennaio, oggi in realtà è il 31 dicembre, ma senza l’ansia di dover aspettare mezzanotte. Oggi è il giorno in cui si sistema tutto per ripartire domani senza zavorre, si disfa l’albero, è una cosa che va fatta ad occhi chiusi perché è una delle cose più tristi della vita, quindi si mette una musica sotto allegrissima, così non ci si pensa, e anzi quando avremo tolto l’albero, il salotto ci sembrerà enorme e dopo un secondo non ce ne ricorderemo più, anche se al momento di mettere via tutto lo scatolone del natale diremo:
- Aho, quando lo ritirerò giù sarà passato un anno! Hai voglia...
E invece ce ne accorgeremo l’8 dicembre 2009 quando diremo:
- Aho, è già passato un anno!
Attenzione, da domani ci risbaglieremo a fare gli assegni, scrivendo 2008 invece che 2009, e poi diremo tutti:
- Ah già, 2009, sto un anno indietro! Ah ah ah...
Cosi come dovete capire che quel 09 che vedete sulla carta di credito non è settembre, ma l’anno, attenti che vi scade! Non dite che non ve l’avevo detto... gli oroscopi che avete giustamente comprato non li dovete guardare più, sennò quel futuro che leggiamo ogni secondo diventa già passato: ad aprile ci faremo un giretto per vedere che è successo, una piccola verifica in previsione dell’estate.
Oggi vi potete ancora sfondare di dolci, (tanto domani cominciamo la dieta di Gianni Morandi) come il carbone, buono, domani tutti dal dentista con le otturazioni saltate in aria come mine dei film anni 50...
Mentre tutti i ragazzi, figli, nipoti, insomma studenti, provano a fare UN compito di tutti quelli dati dai professori per Natale, voi ovviamente ce ne andiamo al cinema, manco a dirlo, film consigliato? "The millionaire", no? Oppure “Si può fare” il film di Giulio Manfredonia, che è anche una bella iniezione di ottimismo, ed è un film italiano. E al ritorno? Stasera “Carràmba”, va fatto! Bisogna vederlo, porta bene e ovviamente dovete aver comprato un biglietto della Lotteria Italia, se non lo avete fatto andate in autostrada al primo autogrill e ne comprate uno, il primo sul quale vi casca l’occhio, perché vincono sempre quelli presi in autostrada tanto vale farci un salto... E speriamo bene!
E permettetemi un augurio citando “Santa Immondizia”, una poesia di Mario Verdone, che mi ha fatto conoscere Lucia Loffredo. Fateci caso stasera fuori dalla porta o in cortile: in mezzo ai sacchi neri ci sarà ancora qualche carta colorata, i nastri d’oro, le bucce d’arancia come manine attorcigliate, come a dire che insomma, almeno una volta l’anno, anche sull’immondizia brilla una stella! Auguri!

giovedì 1 gennaio 2009

Quando un anno comincia...


Propositi per l’anno nuovo: siamo dentro una poesia di Leopardi che però va capovolta, il Sabato del Villaggio. Nel senso che i propositi andrebbero fatti il sabato mattina per tutto quello che di nuovo e bello ci aspettiamo, ma in realtà ci siamo appena svegliati dalla sbronza del sabato sera in una domenica mattina orribile piovosa e che sembra non finire mai! Ed ecco allora la parola magica: VIRTUOSI, bisogna essere virtuosi! Quindi, non appena si capisce chi siamo, e si riesce a recitare a memoria il proprio codice fiscale, si da un calcio alle coperte e si esce subito a fare footing con l’iPod. Mentre si corre evitando i cocci delle bottiglie di vetro delle birre per terra, mentre si evitano accuratamente tutti i pezzi di carta colorati che sono, anche se non sembrano, i petardi inesplosi, bisogna pensare che quest’anno saremo molto più magri, che i vestiti ci staranno benissimo, che entrando nei posti tutti ci diranno “come stai in forma, ti trovo in splendida forma!” e noi dovremo far finta di niente e rispondere “dici?” con un sorriso che stenderebbe anche Sharon Stone. Correte, correte, correte, senza darvi un tempo prestabilito, dovete smettere solo quando siete stanchi, cioè 20 minuti dopo! No dài, almeno mezzora, 40 minuti li dovete fare; non andate dal giornalaio che è chiuso, i giornali escono domani, poi a casa a fare una doccia con un bagno schiuma da paura, che magari vi hanno regalato e quindi usate pure una cosa nuova, così quando vi chiama vostra madre dicendo “hai messo una cosa nuova” voi direte si e vi sarete tolti il pensiero, poi buttate tutti i giornali vecchi, i foglietti di carta, i cartoncini di auguri. A pranzo mangiate un arancio, una banana e uno yogurt, basta, poi chiamate un amica e scegliete un film da vedere presto così quando uscite dal cinema forse c’è ancora un po’ di luce e fate due passi per chiacchierare in pace fantasticando sull’anno appena iniziato... Ma in questo primo gennaio fatemi ricordare cosa succedeva esattamente oggi 7 anni fa, e cioè il primo gennaio del 2002, quando per fare la cosa nuova ci siamo tutti precipitati a fare il primo bancomat in euro della nostra vita, l’importo era di 125 euro, le già vecchie 250.000 lire. Ho visto quei due fogli da 50 euro, uno da 20 e uno da 5, che avrebbe dovuto essere l’equivalente le vecchie 10000 lire: e in quel momento ho capito quanto eravamo diventati poveri, perché in mano non avevo 10 sacchi, ma 500 lire! Auguri!