mercoledì 2 dicembre 2009
Una vespa da Babington's
Prendete una bella ragazza, bionda, alta, su una vespetta 50 a 3 marce, con il faro tondo davanti, color blu brutto, diciamo celeste scuro, con la sella monoposto, scomodissima. Questa ragazza ha due gambe lunghe, i jeans Jesus che gliele fasciano come una garza, ha una pelliccia di opossum corta e stretta in vita, una nuvola di capelli biondi, il suo profumo è Anais Anais di Cacharel, e le viene sempre da ridere anche se arriva a prendermi sotto casa dove la aspetto da 40 minuti oltre l’orario deciso. Io con la camicia Brooks usata, comprata al mercato americano a Latina l’estate precedente alzandomi alle 5, il pullover con i rombi di Benetton, il marine blu con i bottoni d’oro, la barba fatta anche se non ce n’era bisogno e quindi tutto tagliato ma con un litro di Tactics pour homme di Shiseido che bruciava ma mi faceva sentire pieno di “carattere e personalità”! Con quella vespa ho imparato a stare stretti stretti su quella sella microscopica senza secondi fini, oppure a prendere la pioggia perché il parabrezza era rotto, sempre in due, uscendo da scuola, e ci veniva da ridere perché ormai eravamo fradici, e perché ti sembra bello pure quello a 17 anni. Su quella vespa ho imparato il cambio sulla manopola a sinistra e il freno a pedale a destra sulla scocca. Ho imparato a rimanere con il filo del gas in mano, e anche a rimanere senza cambio perché si era rotto il filo della prima, e quindi a partire con la seconda dandosi una spinta con il piede. Ho imparato a pulire la candela con la carta vetrata per farla ripartire, e 1500 lire per una candela nuova non le spendevo.
Ma era su quella vespa che a 17 anni andavamo da Babington’s, la sala da the più famosa di Roma, e quindi del mondo, a Piazza di Spagna, a fare finta di essere lei la maitresse di “American Gigolò”, quella bionda che gli aveva “insegnato tutto, anche a fare l’amore!” e io a fare finta di essere addirittura Richard Gere prima delle lezioni!
E con quella ragazza ho imparato cosa vuol dire una donna per amico, con le confidenze reciproche senza peli sulla lingua, ma proprio senza peli, lei dell’uomo suo e io soltanto delle ragazze che mi piacevano senza speranza. Lei finiva l’ultima briciola dell’unico muffin che ordinavamo e mi diceva “questo non lo devi fare mai!”. E tutto questo sotto gli occhi sbigottiti delle cameriere di Babington’s che ci trattavano appunto come due ragazzini che proprio non volevano capire la differenza tra “un the per due” e “due the” (e comunque a loro non gliene fregava niente e ce ne caricavano sempre due sul conto, anche se la teiera era una sola).
E questo è il motivo per cui ancora oggi se non la vedo tutti i giorni 10 minuti per un caffè vicino alla banca dove lavora, io non so come mi chiamo. Anche se lo ha capito il barista che tutte le mattine vede due adulti che urlano e ridono della vita.
È lei la mia più grande amica, e lo sarà sempre.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
6 commenti:
Brava Fabri, ti sei conquistata una cosa non da poco!
Anch'io andavo da Babington's a diciott'anni con due soldi...che bei ricordi
Ci sono tornata qualche mese fa, da sola, ma a distanza di trent'anni mi è sembrato tutto troppo giusto
ma chi è la fortunata? con lei non litighi mai? un bacio ric
Dani
uffa, piero non mi ha mai scritto una cosa così! :-) v.
Dani, è la mia compagna di classe! Per questo regge!
A Valeria, ti credo! Chiediglielo tu!
Io periodi così dandy non ne ho attraversati. Ancora adesso la tipa arpionata deve passare la a) prova motorino d'inverno e b) supplì di franchi con vino nel bicchiere di plastica ... ;)
Posta un commento