mercoledì 28 aprile 2010

Non c'è niente da fare


E arriva anche quel momento in cui pensi che non c’è niente da fare. Che è andata così... e che vuoi farci? Niente. Bisogna arrendersi all’evidenza dei fatti. Le cose non sono andate così come ti aspettavi. O meglio sarebbe dire, come speravi. Ti sei dato da fare, hai fatto tutto per bene, hai brigato, hai faticato, hai pensato a tutto quello che poteva succedere, hai pensato alle contromosse, non è servito a niente, è andato tutto storto. E l’aspetto da accettare è che non c’è niente da fare. È andata così. E basta.
Può succedere con tutto, attenzione, mica solo con il lavoro, può succedere con una vacanza, con tuo figlio a scuola, con una donna, con l’alimentari, con un ristorante, con un amico, col ferramenta, con la profumeria, insomma con tutte le cose dietro le quali c’è un’altra persona. Quando non sei tu a decidere, ma chi emette la sentenza, colui che regalerà il sorriso della vittoria o la pena della sconfitta. E quando succede questo non c’è proprio niente da fare. E l’unica cosa da pensare, quando sei sicuro di aver fatto tutto quello che potevi umanamente, è questa: passerà.

PS: ma che c'entra Reasons degli Earth Wind & Fire? Niente, stava bene sotto...

giovedì 22 aprile 2010

Comprare un antidoto...


... non serve a niente. Sappiamolo. - Potrebbe servirmi, nel caso... NO! Non ti servirà mai, perchè la sola presenza in casa dell’antidoto scongiurerà il verificarsi dell’evento sfortunato. Ed è proprio per questo che lo dovrete comprare, la regola è se ho l’antidoto in casa, non lo userò mai. Ma se non ce l’ho può accadere di tutto. Facciamoci caso...
I cerotti: “magari mi taglio, così mi metto un cerotto e buonanotte, guarda, li metto in bagno, così, non appena mi taglio... che ce vo’?”
Non vi taglierete mai, piuttosto vi procurerete chissà come una ferita lacero-contusa per la quale non basterà una tovaglia 80 per 200 per arrestare l’emorragia in attesa che al pronto soccorso vi ci mettano 30 punti. Però un taglietto con il coltellino della frutta, da cerotto, quello no. State tranquilli. Ovviamente per evitare la ferita lacero contusa bisognerebbe avere una sala operatoria al posto della cucina, quindi non si può evitare...
L’Attack: “se si rompe il portacenere del salotto, lo riparo in un attimo...”
Si romperà solamente il vaso finto ming (che voi pensavate essere vero), ma in compenso vi rimarranno l’indice, il medio e l‘anulare della mano destra attaccati (nella sinistra solo il pollice e l’indice) nel tentativo di aprire quel tubetto per la prima e ultima volta.
L’allume: prima cosa chiariamo cos’è. È quella specie di sasso che sembra un quarzo che troneggiava tra le povere cose di nostro padre nel bagno in mezzo a tutte le creme di nostra madre. Il primo istinto è quello di buttarlo, sembra un sasso lunare e pensiamo che sia pieno di germi e bacilli. Invece come lo bagniamo ritorna nuovo, cioè vecchio di 60 anni. Serve a cauterizzare il taglietto sul mento mentre ci facciamo la barba e squilla il cellulare (è quella che tarda, come al solito), ti giri, e via mezza guancia. Se avete l’allume in casa, non vi taglierete mai. Come lo buttate, vi squarcerete la gola con una rasoiata. Quindi tenetelo sempre!
Il togliruggine:
- ma figurati quando mai mi macchio con la ruggine...
Ah sì? E ieri che faceva caldo e avevi la camicia bianca non lo hai spostato il motorino di quello che ti si era attaccato al parcheggio e la catena ti ha lasciato il segno di Zorro? Sembrava nero di grasso, e invece sotto c’era la ruggine. Da quando l’ho comprato però, l’avessi usato UNA volta. MAI!
Ce ne è uno solo che DOBBIAMO comprare comunque ed è la dose di adrenalina, carissima, che dovremmo avere in tutti gli zaini della vita ogni volta che decidiamo di andare in montagna perché non si sa mai che ti punga la vespa rarissima che vola solo a 1850 metri di quota e guarda caso passava proprio oggi, per fare come John Travolta sul petto di Uma Thurman in Pulp Fiction, che solo avere quel coraggio è impossibile. Ma visto per l’appunto che non lo faremo mai, portiamoci dietro almeno un po’ di cortisone facendo finta che sia adrenalina. A volte la scarogna ci crede!

giovedì 15 aprile 2010

Tante scuse


È finita. Diciamola tutta e basta. Dopo Mike e Corrado mancava solo Raimondo per mettere definitivamente una pietra sopra a quella televisione che ci ha cresciuti. Pippo no, aveva già cambiato linguaggio e ora, purtroppo, gli tocca solo avere coccodrilli pronti da tirar fuori, seppure con molto affetto, al momento delle scomparse dei suoi colleghi. Quella televisione che, anche con l’aiuto del tempo galantuomo, come Raimondo del resto, oggi rimpiangiamo con nostalgia, non fosse altro che per l’eleganza del bianco e nero. Eppure, facciamoci caso, con questo terzo lutto, non è scomparso un uomo Rai che viene omaggiato con i filmati delle sue teche, peraltro visti in questi giorni in una definizione un po’ troppo bassa, come se invece fossero stati scaricati da internet. È scomparso un uomo Mediaset. O meglio un uomo della Fininvest dell’allora soltanto Cavalier Berlusconi, e che all’epoca aveva intuito e apprezzato, come noi, quei tre. Non a caso la camera ardente si è tenuta negli studi di Cologno Monzese. Il marchio del ricordo non è quindi in bianco e nero, come per tutti gli altri grandi, ma a colori, seppure ancora nel recinto dell’eleganza di “default” che gli apparteneva. Questo mi fa pensare che la Rai che amavo da piccolo non ha saputo trattenere i tre pezzi da novanta che hanno poi continuato a divertirci negli anni successivi, una Rai forse troppo rigida che, proprio nel passaggio definitivo dal bianco e nero al colore, lasciandoli liberi, ha poi ridicolmente permesso di fare la storia, nuova, della concorrenza. Io mi chiedo: cosa è andato storto? Non era certo una questione di soldi, dài. Se Mike è diventato il personaggio tv con più ore passate in video, e se Corrado, dopo aver proposto il “numero zero” del format “Il pranzo è servito” si sentì chiedere “me ne prepari mille!”, così Raimondo per vent’anni è andato avanti con “Casa Vianello” insieme all’inseparabile nome in ditta della moglie Sandra. Questi erano uomini dotati di un DNA di mestiere che ha permesso loro un’agilità che la Rai avrebbe dovuto utilizzare molto meglio. Infatti, insieme a “Il gioco dei 9” e “Pressing”, Raimondo ha attraversato tutte le fasce orarie dei palinsesti cambiando generi e pubblico senza mai perdere la sua cifra che oggi gli viene riconosciuta: l’ironia su tutto, oltre che su se stesso. Un uomo che per una vita ha sfottuto la moglie in ogni occasione ma alla quale ha stretto la mano fino all’ultimo istante. Questo modo di fare è finito. Per sempre. Chi ha amato quella Rai non può non rattristarsi al pensiero di averlo potuto rivedere solo a Sanremo, nel 1998, dove forse era andato a condurre quel festival, tanto per far capire chi avevano perduto. Dopo la finale Raimondo scappò via dall’Ariston. Per andare a un qualche ricevimento in un ristorante? Una bella serata tra amici per festeggiare l’avventura appena conclusa? No: andava a Milano, c’era da fare la puntata di “Pressing”. Ciao Raimondo, grazie. E tante scuse.

mercoledì 14 aprile 2010

Elogio del vecchio


Se per vecchio intendiamo quell’uomo che ha i pantaloni di velluto un po’ andati, il pullover con due macchie, i capelli bianchi e le mani grosse e un po’ curve, è proprio di quest’uomo che vi voglio parlare.
Perché io l’ho guardato bene e ho visto gli occhi: erano due carboni accesi, di brace ardente. Ho visto che sembrava sordo e invece sentiva tutto quello che voleva e tutto quello che gli serviva. Ho visto che aveva un olfatto che pescava direttamente nella memoria degli anni passati e ricollocava tutto perfettamente nel tempo come un orologiaio che rimonta un meccanismo.
Gli ho visto fare un sorriso a una ragazza che poteva essergli nipote, un sorriso che noi non sappiamo ancora fare, e che forse non riusciremo mai...
Ho visto che si muoveva con l’accortezza di un gatto che non vuole perdere un neurone che è uno, per fare un movimento superfluo ma di cui, per sfizio, non voleva privarsi.
L’ho visto mangiare lentamente perché è una vita che mangia tre volte al giorno e del cibo non gliene frega più niente...
E quando un amico mi ha chiesto “vediamoci, porta due amiche tue” io gli ho detto che frequento solo vecchi, perché loro mi fanno le domande e invece alle ragazze non gliene frega niente delle cose che ti piacciono e che ti fanno sentire te stesso senza pudore. Perché io visto questo vecchio che amava ascoltare le ingenuità che gli raccontavano, senza rimproverarle, ma capendo e consigliando con la serenità di chi sa di aver sbagliato tempo fa e ora tocca a loro sbagliare.
Ho visto un uomo che è stato bambino, ragazzo, adulto, vecchio e adesso ha il tempo per chiedersi cosa è ancora veramente: un uomo e basta.
Insomma io ho visto un vecchio e ho pensato: voglio essere come lui.

lunedì 12 aprile 2010

Vite che scorrono in quelle degli altri


Vedere un ex che ha cambiato per sempre la sua vita, può essere un fulmine a ciel sereno: un incontro che non ti aspettavi e che ti può cambiare la giornata, un periodo, o addirittura mettere in discussione tutta la vita che fino a quel momento hai passato senza di lei. Può capitare. E bisogna essere forti per trattenere il riannodarsi di certe sinapsi che si erano sciolte tempo fa. Perché poi, di fatto, ormai entrambi svolgono una vita propria a prescindere dall’altro. Vite che prima s’incrociavano come uno scambio ferroviario nei pressi di una stazione importante. In realtà esiste una vita propria ed esiste una vita che scorre da sola in quella degli altri. È quella delle mattine quando ti svegli presto e pensi a lei, se sta già correndo. Quando vai in palestra all’ora di pranzo ti getti sul tapis roulant per smaltire le sambuche col ghiaccio della sera prima, all’improvviso sull’iPod nano da 4 giga, passa la canzone che ti ricorda quella sera quando vi eravate conosciuti. Dopo il bagno turco, con tutti gli altri che parlano del campionato “de sta roma, de sto inter”, ti fai la barba e accanto a te senti il profumo del dopobarba che ti aveva regalato lei (che era comunque il tuo preferito da anni, sia chiaro) e adesso lo senti addosso a un altro, ricacciando indietro subito il pensiero “ma che adesso gliel’ha regalato a ‘sto mostro?”. Per non parlare delle strade che avete percorso insieme, i ristoranti, le pizzerie, i cinema, i teatri. Tutto ti ricorda tutto, giorno dopo giorno una vita come questa, la sua, è scorsa da sola nella tua. Tutto inutile. Perché le vite sono altre, ormai. È colpa tua? È colpa sua? Che importa? Avete perso tutti e due. E quegli scambi sono diventati binari che scorrono felici (più o meno) per conto loro. Quindi un incontro del genere può capitare e bisogna essere forti. Non esistono convergenze parallele. Ormai lei sta con un altro (situazione da valutare con euforia se pensiamo “ammàzza quanto è brutto”, o da accettare con depressione se pensiamo “non è male”). Diamo per scontato che voi siate soli mentre la vedete con il nuovo codice fiscale che le sta accanto. Quindi calma e gesso. Evitare rancore anche se giustificato, tipo che non la salutate tirando dritti, e alzando il mento o peggio con ciao di ghiaccio (che in realtà è sciolto e lei se ne accorge, compatendovi). Evitare anche il saluto isterico del “facciamo finta che tutto va ben!” squittendo di gioia con sorrisi che in realtà trattengono lacrime. No. Dritti come fusi, voce bassa, un saluto cordiale ma asciutto, guardandola negli occhi e presentandovi immediatamente al codice fiscale. Avete già vinto la battaglia prima di entrare in guerra. Via adesso: non vi girate mai, mai. Dritti come robot senza telecomando verso il vostro binario unico sola andata e che lei ha perso. Può capitare, sì! Ma, ATTENZIONE, se lei nell’incrociare il vostro sguardo lascia quella mano che stringeva fino a un attimo prima, vuol dire che allora ancora ci pensa. In questo caso potete anche ignorare questo post.

venerdì 2 aprile 2010

Vedo gente commuoversi in giro...


Vedo gente commuoversi in giro: sono dei 40-50enni che in palestra, in un negozio di elettrodomestici, in un bar, in una ricevitoria del superenalotto, insomma ovunque ci sia un televisore acceso, si trattengono a vedere la pubblicità del cinquantennale del Cornetto Algida 1960-2010, il cuore di panna per eccellenza. Dopo un primissimo ascolto in cui vedo la faccia crinarsi in una smorfia (“che cos’è questa musica che non sento da vent’anni?”) segue uno sguardo rapito dalle immagini di ragazzi che corrono per una spiaggia, escono da un baretto, chiacchierano in tenda, regalano fiori. Tutto intorno vespe 50, motorini, magliette bianche, braccia abbronzate, denti bianchi, insomma salute e gioventù! Noi. Appena 30 anni fa. E fin qui va bene, ma quando arriva una scritta gialla, con le ombre marroni, assurda e bellissima, vedo scorrere lacrimoni pieni di passato senza futuro. E che è? Troppo, dài: se oggi ancora ci commuoviamo a quelle immagini e a quella canzone in fin dei conti è un buon segno. Fateci caso: le immagini più recenti dello spot ci fanno ribrezzo, le nuove facce non ci piacciono, non sono carine come quelle nostre, tanto è vero che loro comprano il nuovo cornetto “Enigma”. Non vorremmo essere quei ragazzi al momento dell’acquisto, no? “Cornetto Algida compie 50 anni” recita la voce fuori campo. Noi no, e abbiamo ancora un cuore di panna.
Quello nostro.