lunedì 29 novembre 2010

Uno scovolino d'oro


È stato calcolato che in Italia ci sia almeno una pipa in 10 milioni di case e che un milione di persone abbia fumato almeno una volta quella pipa. I fumatori abituali di pipa in Italia oggi sono 10000. E basta. Sono lontani i tempi del Commissario Maigret, il mitico Gino Cervi (amato anche da Simenon), che la impugnava con l’autorevolezza di chi sapeva maneggiarla da padrone. Allora la pipa era molto amata e si vedeva in giro molto di più. Se ci fate caso sbuca in bocca a un passante nel filmato girato a Londra quando i Beatles cantavano sul tetto della Apple a Savile Row. La si portava addosso con molta disinvoltura, quasi come un accessorio. Oggi non è più così. Eppure quei 10000 fumatori abituali di pipa hanno un problema di cui solo adesso si stanno accorgendo. GLI SCOVOLINI SONO FINITI! Mi spiego meglio. Dal tabaccaio o dal negoziante di fiducia, il sabato pomeriggio si andava a prendere, oltre al tabacco da fumare una sera guardando le inchieste del Commissario Maigret su DVD, su una poltrona capitonnet in cuoio rustico e un plaid di cachemire blu, anche una bustina di scovolini, detti anche nettapipe. E’ quell’accessorio utilissimo al fumatore abituale di pipa, che serve a ripulirla da quell’acquerugiola e condensa che inevitabilmente si formano dentro il bocchino e il cannello. Se non si pulisce perbene, la pipa non va: puzza, s’intasa, un macello! Proprio come accadeva ai fucilieri del 1800, che dopo aver sparato pulivano, o meglio, scovolavano, da qui il nome appunto, con un attrezzo enorme la canna dell’arma da detriti, polvere da sparo, residui metallici e chissà che altro. Qual è quindi il dramma? Provate a comprarli! Si trovano, certo, ma non più quelli “buoni”. Questi si piegano non appena li infili nel bocchino e ti rimangono annodati al pollice e all’indice della mano destra, come un cartone animato. All’inizio ti viene da ridere, ma dopo due o tre tentativi, li butti tutti in aria urlando. Come mai? Due anni fa, a Torino, in Corso Svizzera 147, ha chiuso la VI.S.C.A. Dopo 40 anni, il suo proprietario, Pasquale Violi, aveva la schiena a pezzi, non si è creato un erede, e questo è il risultato. Il trucco degli scovolini della Visca risiedeva nel materiale: un doppio filino di acciaio armonico ricoperto di cotone la cui caratteristica era anche lo slogan: “mi fletto e non mi piego”. Alcuni, speciali, oltre al cotone che non perdeva pelucchi come quelli oggi in commercio, avevano anche un filo rosso intrecciato di nylon, leggermente abrasivo, puliva bene il cannello. Quelli di oggi sono di ferro dolce e non servono a niente. E questo è un altro pezzo d’Italia che se ne va, piccolo, piccolissimo, utile ad appena 10000 fumatori abituali di pipa. Però poi scopri che dava lavoro a un uomo che per una vita ci ha campato. Il costo di produzione di uno scovolino era di UN CENT e si vendevano in una busta da cinquanta per 3 €. Adesso sono contingentati nei negozi seri di pipe che li offrono con parsimonia ai loro clienti più affezionati. Quindi, amici del blog, riaprite quella fabbrica e diventate RICCHI!

lunedì 22 novembre 2010

Una foto di 40 anni fa


Questa foto di Bruce McBroom mostra 4 ragazzi che stavano per litigare da lì a poco ma ancora non lo sapevano. Mostra 4 ragazzi ormai ricchi con mogli, separazioni, divorzi, case, vacanze, droghe, tutto fatto, tutto visto, e adesso? Mostra 4 ragazzi che al primo bilancio della loro vita, quello dei trent'anni, quando chiunque al massimo potrebbe vantare un lavoro e forse una moglie, loro, guardandosi indietro, hanno potuto dire: “ho fatto i Beatles...”. Mostra 4 ragazzi che dopo i vestitini sartoriali di quella Londra irripetibile da film, hanno finalmente trovato il loro proprio modo di vestirsi. Mostra 4 ragazzi che hanno messo insieme 185 canzoni per tutti i gusti e tutti i momenti della vita. Che ne è di quei 4 ragazzi in quella foto, oggi? Due sono morti, uno per malattia e l’altro ammazzato, uno continua a scrivere musica, non sa fare altro, e l’altro a godersi la vita, non sa fare altro, tanto è vero che alla domanda “è contento di sbarcare su iTunes?” ha risposto “sì, almeno così non mi chiederanno più quando sarà!”. Ecco spiegato come mai quella foto di oltre 40 anni fa, oggi ha rifatto il giro del mondo annunciando che quelle sensazioni provate all’epoca con addosso una maglietta Fruit of the Loom, senza casco, in due su una sella da 20 centimetri quadrati del “Ciao”, senza parabrezza, con la pioggia a bagnarci e le cuffie del walkman nelle orecchie una per te e una per me, sono adesso e finalmente (dopo 10 anni di cartacce legali) sul negozio di musica senza commessi (che non sanno nemmeno come si scrive “Bitolz”) più bello del mondo: iTunes. E noi cosa dobbiamo fare? Ricomprare tutto un’altra volta? Li abbiamo comprati su vari supporti, il vinile degli album, quello dei 45 giri, poi la plastica luminescente dei cd, (“che fai, non li compri? Non sai come si sentono: da urlo!”). E proprio da cd li abbiamo già trasferiti sul Mac. E se non lo avete ancora fatto, cosa aspettate? Stanno lì in libreria tutti belli pronti! Ecco perché questa bella notizia in realtà serve solo a farci diventare eroi agli occhi di chi ancora non li ha mai bazzicati abbastanza: alcuni ventenni attuali che potranno finalmente capire che la sigla di “Stranamore” in realtà era stata scritta dai Beatles per la prima trasmissione televisiva in diretta in Eurovisione nel 1967, e non per un programma di riconciliazioni sentimentali! Ecco quindi che per magia qualche “ragazzo” nel senso strettamente cronologico del termine, si avvicinerà avvertendo da lontano la stessa musica che lui ha nelle cuffie dell’iPod per scoprire che: primo, noi li abbiamo già tutti belli caricati da 10 anni; secondo, in realtà stiamo ascoltando l’originale in vinile sul nostro giradischi cercando di non piangere per non rovinare la copertina di “Abbey Road” e ci siamo anche stati per farci la foto sulle strisce; terzo, osserverà che le nostre canzoni più ascoltate sul nostro iPod sono proprio le più scaricate da pochi giorni in tutto il mondo: “Let it be”, “Yesterday” e “Hey Jude”.
Davvero? Maddài!

venerdì 19 novembre 2010

Buon riposo


Il riposino pomeridiano che tutti i medici ormai consigliano, “la pennica” come la si chiama a Roma, è, ovviamente un lusso. La regola sarebbe quella di fermarsi una ventina di minuti al massimo, dopo pranzo, tutti i giorni. Ma spesso a quell’ora si è in palestra a smaltire gli ossibuchi con i porcini di stagione della sera prima. Ma il sabato e la domenica no, sono salvi, e noi possiamo recuperare, anche sforando i 20 minuti richiesti, in quei lunghi pomeriggi liberi, magari fuori piove, con quell’atmosfera da sabato del villaggio che ancora oggi, dopo 180 anni da quell’agghiacciante pensiero di Leopardi, ci strugge. Per evitare spiacevoli incidenti ecco qualche piccola regola da osservare. Primo: la luce. Chiudere tutto, persiane, tapparelle, serramenti, tutto. Altrimenti una volta che si cerca il sonno ci si deve mettere le mani davanti alla faccia per far finta che quel lucore rimasto non ci disturbi e che invece ci fa malissimo: quella fessura di luce che sembrava così piccola e ci aveva fatto pensare “tanto non la vedo”, non appena ci sdraiamo con il plaid, diventa una sciabolata abbagliante che nemmeno Guerre Stellari. Con le mani cerchiamo quindi di creare un sipario che protegga gli occhi, ma che ottiene solo di farci affogare in un mare di vapore acqueo prodotto dal nostro respiro facendoci ritrovare tutti bagnati. Seconda regola: andate in bagno PRIMA. Non succede niente allo sdraiamento, ma non appena avvertiamo quella sensazione di “botta”, di stordimento, di lento deliquio che precede la resa, ecco che uno spillo ci punge, e una vocina ti dice: “vai in bagno, sennò non ti rilassi...”. Un’altra, la nostra, risponde: “noo, ce la faccio... pochi secondi e passa”. E invece arriva un’altra puntura di spillo più forte, distraendoci dalla ricerca del sonno, e maledicendo chiunque, si scappa in bagno! Terza regola: plaid a una piazza regolamentare. DIFFIDATE DAI PILE, dalla copertina piccola di vostro figlio, dalla vestaglia che avete dimenticato sulla poltrona pensando “tanto non ho freddo...”. Infatti non appena cerchi te stesso nell’abbraccio di Morfeo, in realtà a casa entra una foca che applaude sarcasticamente alla nostra idea. La copertina, seguendo i nostri movimenti scomposti, lascia sempre una parte di noi fuori sicurezza e quindi il ghiaccio s’impadronisce del nostro corpo, dagli alluci alle gambe, fino al tronco, su fino alle braccia e alle mani, ormai ridotte a stalagmiti. Ci sveglieremo, nel caso avessimo dormito nonostante i tremori dovuti ai geloni, con un principio di raffreddore e una punta di mal di gola. Quarta regola: staccate cellulare e telefono di casa. Potrebbe chiamare solo un congiunto qualsiasi: nonna, zia, madre, cugino che non sentite da anni, il negozio Montblanc per dirvi che la penna è riparata eccetera... Salvador Dalì diceva che la punta massima del sonno la si ottiene dormendo con un cucchiaino d’argento in mano. Quando, al momento dell’abbiocco, il braccio farà cadere a terra il cucchiaino svegliandoci, il sonno finirà e noi, secondo lui, saremo belli riposati. Infatti Dalì è morto.

lunedì 8 novembre 2010

Una roccia su una panchina


Il rock è stato a Roma un pugno d’ore per presentare il dvd “The Promise” e farsi intervistare dai nostri Ernesto Assante e Gino Castaldo: Bruce Springsteen. Un uomo di 61 anni che se li porta come li porta il rock: bene, benissimo. Io so perché quest’uomo che imbraccia una chitarra come una donna vorrebbe essere ghermita da un uomo, un uomo solo, riesce ancora a farci credere nella vita e nelle sue quattro cose che vale la pena vivere.
A ottobre una storia e una foto hanno fatto il giro del mondo: una giovane coppia che passeggiava su una spiaggia del New Jersey vede un uomo, solo, che scruta il mare su una panchina. Il ragazzo lo riconosce: si tratta dell’unico uomo che sa contare fino a 4 in un modo che qualsiasi musicista, qualsiasi band, qualsiasi orchestra vorrebbe suonare con e per lui, anche gratis, per tutta la vita. Quell’uomo si chiama Bruce Springsteen ed è il rock, semplicemente. Il ragazzo si avvicina timidamente e lo saluta con un complimento. Bruce che fa? Gli dice “grazie, ciao” e basta? No! Quell’uomo, che ha una voce che esce dalla nostra memoria collettiva di speranze e aspettative, nota che quel ragazzo ha una chitarra a tracolla che gli pencola da una spalla. E quell’uomo gli chiede: “ragazzo, suonami qualcosa!”. Il ragazzo sta per morire ma risponde come un ragazzo che ha davanti il rock. E non si sa se balbettando o piangendo dalla commozione, riesce a formulare una risposta. Evidentemente qualcuno lassù lo amava in quel momento, tanto da fargli dire una cosa intelligente: “come posso io suonare la chitarra davanti a te che sei Springsteen?”. A quella domanda l’uomo che indossa i jeans come un uomo porta addosso la sua vita, rimane sospeso per un interminabile secondo in cui riflette che lui si sente SOLO un uomo e non una roccia, rock in inglese, delle nostre miserabili vite. Sente che quel ragazzo davanti a lui ha ragione, e quindi gli risponde: “Dammi la chitarra! Lei è la tua ragazza?” Il ragazzo risponde sì. L’uomo con la chitarra, il rock in persona, quindi comincia a suonare “Secret Garden” a quella coppia che ora è lì seduta accanto a lui, su una panchina sul lungomare del New Jersey, negli Stati Uniti d’America. Riescono a farsi una foto insieme. Adesso io dico tre cose. Primo: se quella ragazza non ha poi chiesto a quel ragazzo di sposarlo e che lei sarà sempre la sua donna, è matta. Secondo: a lui conviene, perché un’altra occasione come questa a lui non ricapiterà mai più con nessun’altra donna in tutta la sua vita. Terzo: adesso capiamo come mai un uomo come Bruce Springsteen è Bruce Springsteen. Perché ha dentro qualcosa che lo porta ancora oggi, a 61 anni, con niente più da dimostrare a nessuno sulla faccia di questo pianeta che continua a girare senza un motivo, in camicia a quadri, a guardare un tramonto a piedi nudi sulla spiaggia. Come diceva Conrad: “come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?”. Bruce ancora guarda fuori dalla finestra...