mercoledì 15 dicembre 2010
La percezione della circostanza
La percezione della circostanza, oltre a essere una bella espressione, è una banale, banalissima regola di buona educazione che ci hanno insegnato da piccoli nei primi pomeriggi in cui si aveva la straordinaria opportunità di annoiarsi ascoltando le chiacchiere dei grandi mentre prendevano un tè il sabato pomeriggio. La circostanza era il tè, per l’appunto, e la percezione invece era un solo ordine ricevuto: “state zitti e ascoltate!”. Tutto qui. Crescendo ci si è sforzati, non tutti in verità, di applicare quell’ordine a un modo di comportarsi “opportuno” rispetto a una circostanza qualsiasi che, per fortuna, non è più solo quella di un tè tra vecchie zie. E quindi, questo piccolo atto di coscienza, è ormai da considerarsi un esercizio sopraffino destinato solo alle menti più intelligenti del nostro genere, che sarebbe quello umano. Dico così perché personalmente non riesco a capacitarmi di come ancora esista qualcuno che passati i 40 anni da un pezzo, riesce a
interromperti mentre stai parlando al telefono, magari concitatamente, e pur avendo visto benissimo che stai facendo un’altra cosa, di una certa importanza per giunta, non esita a parlarti sopra di altri argomenti. La furia ci autorizza a sbranarlo all’istante: “ma non vedi che sono al telefono? SPARISCI!” Oppure: stai litigando con la tua ragazza, non chiedetemi perché, ovviamente sempre per una stupidaggine, e addirittura per strada, e se stai litigando per strada, non si sa come mai, stai sempre litigando in un modo esagerato, eclatante: tutti si ricordano di quella coppia che urlava a Via Tagliamento, perché poi mica siamo a New York, dove non ti si fila nessuno, no, siamo a Roma, dove non ti dico che si partecipa, ma comunque ci si sente autorizzati a salutare uno dei due in un momento in cui sarebbe meglio fare finta di niente e proseguire oltre. No! Si saluta “Ciao” magari con un sorrisino sotto. E uno come dovrebbe rispondere? “CIAO!” urlando, con un sottotitolo muto: “MUORI!”.
Oppure, siamo in pizzeria, tavolata assurda e lunghissima, il locale è pieno, i decibel sono impennati cone nemmeno l’auditel a Sanremo, i camerieri faticano a prendere la comanda di tutti quelli che ancora non sanno ordinare una pizza al tavolo e chiedono il menù, ci si perde tra le birre, le coche, le crocchette, i supplì, i calzoni, la qualunque. Entra un amico tuo che vede che ti stai dando da fare per aiutare il cameriere e anche i tuoi presunti amici al tavolo districandoti nei riepiloghi: “allora, ragazzi, dicevamo 4 margherite, 2 col prosciutto, una senza pomodoro, poi 3 focacce, 9 birre, 4 bottiglie di minerale, 2 lisce e 2 gassate, come dici tesoro? tu col basilico?”. Questo matto arriva e pur non riuscendo a darti la mano perché è pure lontano, te la porge comunque, e non ti molla mai un attimo con lo sguardo, facendoti sentire in imbarazzo perché sembra che non lo vuoi salutare. In realtà NON PUOI, tu vorresti, MA NON PUOI! E cosa ti dice? “Ciao, è una vita che non ci vediamo!”. La risposta dovrebbe essere una sola: “fosse per me, può essere anche l’ultima! Una margherita, grazie!”
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2 commenti:
Quanto è vero amico!
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