lunedì 27 giugno 2011
Tema di maturità oggi
TEMA D'ATTUALITÀ: Analisi del valore assegnato alla fama effimera nella società odierna a partire dalla famosa frase di Andy Warhol "Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti". Lo faccio io adesso facendo finta di avere 18 anni e di trovarmi sul banco di un corridoio della mia scuola a scrivere il tema d’Italiano per l’esame di Maturità. Pronti? Via!
Quando Andy Warhol, pace all’anima sua, disse questa frase i miei genitori non si conoscevano nemmeno. Piuttosto nacquero. Era il 1968, e i loro genitori, cioè i miei nonni, avevano 30 anni circa, avevano vissuto la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) di striscio e negli anni successivi si erano divertiti senza saperlo, o forse un po’ sì. Nessuno allora poteva immaginare di rimpiangere gli anni 60 fino a oggi compreso (questo tema ne è la prova) come anni irripetibili, indimenticabili, inarrivabili per gioie, speranze e aspettative, in una parola “unici”. Probabilmente all’epoca non potevano sapere che in quei giorni un eccentrico artista americano di nome Andy Warhol aveva pronunciato questa frase e molto più probabilmente non ne avrebbero capito il significato: “famoso? E per cosa?”. Mi pare di sentirli, a loro bastava farsi una corsa al mare per essere felici e il loro lavoro per stare tranquilli ad ammirare l’orizzonte della loro vecchiaia. Non cercavano certo tutto quello che oggi i media promettono a me e ai miei coetanei. Non lo cercavano anche perché non gli era offerta quest’opportunità. Essere famosi era una caratteristica non di chi si metteva in mostra e basta, ma di chi, per meriti stratosferici, lo era diventato in conseguenza della sua professione esercitata a livelli altissimi. Tanto per fare un esempio i Beatles che, piaccia o no, a 28 anni avevano riscritto la storia della canzone mondiale! Certo, Warhol non poteva immaginare, che un libro scritto nel 1948 sarebbe diventato nel 2000 un programma tv che, quello sì, avrebbe regalato un quarto d’ora di celebrità ai suoi partecipanti. “Il Grande Fratello” infatti, oggi è il vero mostro d’illusione di tempi felici che durano in realtà un anno appena da spremere come un limone in serate in discoteca per cercare di metter su i soldi necessari a comprarsi magari una casa. Ma di certo non fornisce le armi necessarie a sopravvivere a quel famoso “quarto d’ora”. Resistere a queste seduzioni, a queste promesse, a queste illusioni mi sembra il vero esercizio da praticare una volta usciti da questa scuola. Prepararsi a quello che ci aspetta in questo paese mi sembra una sfida superiore, più difficile e forse più romantica. Oggi mi chiedo se valga veramente la pena avere un quarto d’ora di celebrità in tutta la propria vita visto che di Andy Warhol, un uomo morto a 58 anni e che famoso lo è stato per molto più di un quarto d’ora, oggi rimangono una zuppa Campbell, un ritratto di Marylin Monroe, poi diventato uno style, e questa frase: stupida e bella come tutte le intuizioni dette in largo anticipo.
PS: “Se non mi promuovono con questo tema domani vado ai provini di Grande Fratello, così almeno conosco la Marcuzzi!”
lunedì 20 giugno 2011
Tutti al mare!
In Italia, tutto sommato, andare al mare, sembra sempre un’avventura degna di “Una domenica d’agosto” un film del 1950 di Luciano Emmer: ancora oggi chissà perché, ma vediamo in dettaglio. Partenza: di mattina presto un padre di famiglia stremato da una settimana lavorativa con il capoufficio che non gli riconosce mai abbastanza i suoi meriti, mantiene la promessa fatta pochi giorni fa ai figlioli sul divano mentre già dormiva e svegliandoli urla con malcelato sarcasmo in terza persona: “Papà vi aveva promesso che andavamo al mare? E quindi, via, tutti al mare!” - “Sìì” urlano felici i bambini svegliandosi come molle di titanio degli ammortizzatori di un suv. La casa senza condizionatore trema mentre un carosello prende forma tra borsa frigo da preparare con panini con la frittata, merendine, succhi di frutta, thermos di vino bianco e polpa di ghiaccio e thermos di caffè caldo, insomma tutto quello che serve in caso di attacco nucleare, e borsa mare con creme di tutti i livelli di protezione, asciugamani, parei, e tutto l’armamentario nautico per il bagno dei bambini, la ciambella, i braccioli, la maschera, gli occhialini, e addirittura le pinne! Tutto ovviamente preparato dalla mammina che veramente se ne andrebbe al mare sì, ma da sola! Finalmente si parte, dài che ci vuole? Carichiamo e via! Due parole dette cosi, senza pensarci: “carichiamo”. Ti serve un fiorino per metterci tutto, perché ovviamente parliamo di spiaggia libera e quindi non bisogna dimenticarsi delle sdraio, dell’ombrelloncino (l’ombrellone vero e proprio si trova solo negli stabilimenti), della sedia per la suocera e del tavolino per l’ora più bella, il pranzo. Tutto regolarmente acquistato in un impeto di buon umore all’Ikea a marzo, quando pioveva e ora tocca usarla tutta questa roba. Seconda parola: “via”. Via? Dove? Sulla strada? I casi sono due: o tutti hanno ascoltato quello che il padre aveva promesso e quindi per tigna si fanno trovare sulla strada per il mare, oppure tutti hanno avuto la stessa terribile idea, perché non ci si muove di un millimetro e quando si arriva i parcheggi sono intasati di fiorini e ducati con migliaia di parenti che sbarcano ai lidi (fate caso che al mare ci vanno solo quelli che sono tutti parenti tra di loro, l’altra categoria, quella degli amici, non va al mare, ma solo in barca, come mai? Eh, vabbè ci siamo capiti...). Una volta conquistato il quadrato di sabbia a duri colpi di sguardi assassini, e sistemato tutto l’armamentario, non rimane altro che leggere il giornale con il vento che te lo sbatte in faccia, minacciare i figli contando fino a tre per farli uscire dall’acqua, zittire la suocera che vorrebbe parlare dei suoi tempi, mangiare con la sabbia che s’infila nel panino e nel bicchiere di carta che vola via, scacciare i venditori ambulanti che disturbano il sonno mentre la moglie volentieri ci parlerebbe di qualsiasi cosa. E alla fine della giornata, quando finalmente si torna a casa, sembriamo sempre quelli del quadro di Norman Rockwell “The Outing” e sapete perché? Perché di andare al mare in verità non gli va a nessuno. Ma allora restatevene a casa, no? E andate a votare! Ah, no... già fatto!
lunedì 13 giugno 2011
Avete coraggio?
Ci sono ancora 4 weekend disponibili per fare una follia che vi lascerà qualcosa dentro per sempre: una macchina del tempo gratuita e sensazionale. Ma partiamo dalla considerazione che dal 21 giugno comincia l’autunno. Certo, mica l’estate, se comincia è già finita, no? Invece l’autunno è già lì che scalpita con le sue foglie gialle pronte a farci innamorare di nuovo dell’ennesima donna sbagliata e quindi, di fatto, comincia a farsi sentire. Per esempio con le giornate che dal 21 giugno cominciano ad accorciarsi e le conseguenti albe cominciano più tardi. Per la follia che sto proponendo servono albe vere, quelle delle 5 e mezzo del mattino (un mesetto ancora e addio!). Serve un sabato, o meglio una domenica, serve una città come Roma, serve un motorino, o uno scooter comunque con sella comoda per due (vedremo dopo per chi). Itinerario? Per esempio quello di Ottorino Respighi e le sue “Fontane di Roma”, seguendo ovviamente lo stesso percorso. Primo, appena alzati, freschi di spazzolino e dentifricio con l’adrenalina a mille (“tutti dormono e io già in giro!”), e via verso “La Fontana di Valle Giulia all’alba” che si trova all’angolo di Via Flaminia, spesso ci si ferma per bere un sorso d’acqua gelida dal getto ideale. Secondo, la fontana del Bernini a Piazza Barberini col suo Tritone che usa la conchiglia come un megafono o come una borraccia (non era chiaro nemmeno ad Argan!). Via di corsa al terzo step: la Fontana di Trevi dove, in una piazza da sempre odiata dai romani per via dell’affollamento causato da venditori ambulanti e turisti scemi che buttano pezzi di euro, finalmente libera da questo ciarpame, potremo ricordare lo scherzo dell’asso di coppe ai danni del barbiere impiccione e commentatore inopportuno dei lavori in corso all’epoca da parte del Salvi. E poi un salto alla quarta fontana, sarebbe quella all’interno di Villa Medici, però per vederla devi scassinare il cancello o il portone della Villa medesima: meglio evitare per non finire in galera all’alba come Cavaradossi. Meglio passarci fuori al volo e dirigersi verso Canova a Piazza del Popolo per fare colazione con un cappuccino freddo scuro, e riflettere su questa gita fuori dal tempo. Eh sì, perché avrete capito che nell’assenza del traffico nato con il motore a scoppio, come per magia riemergono i suoni di DUE SECOLI FA: le fontane producono un suono altrimenti inascoltabile già dopo un paio d’ore: quello dell’acqua che scroscia! E poi, miracolo, quando meno ve lo aspettate, un rumore che viene direttamente dall’800: zoccoli di cavallo, quelli delle botticelle, che una volta erano taxi a buon mercato per tornare da una festa a casa, (e durante la guerra addirittura l’unico mezzo con il coprifuoco visto che non avevano fanali avvistabili al buio!). E tutto questo nella piena luce di un’alba di giugno. Avete questo coraggio? Di alzarvi una mattina solo per fare questa follia, magari con una ragazza da tirare giù dal letto? Trovatelo! Altrimenti a che serve?
lunedì 6 giugno 2011
L'imprinting del 2 giugno
Voi mi dovete spiegare perché qualsiasi pensiero abbia in mente, ovunque mi trovi, nel momento in cui passa una qualsiasi banda che intona l’inno nazionale mi viene un groppo in gola che nemmeno un film della Disney riesce a scatenare. Succede in questa sequenza: da lontano senti dei suoni che non ascoltavi da tempo, un misto fritto, anche un po’ sgangherato di trombe, tamburi e piatti, ti giri, cerchi con lo sguardo e poi riconosci quattro note che si aprono un varco dentro di te come la separazione dei flutti. Non riesci a pensare “uh, la banda” che già piangi cantandoci sopra urlando, con le vene del collo gonfie pensando: SONO ITALIANO! La parata del 2 giugno nel 150° anniversario dell’unità d’Italia, l’ho voluta seguire TUTTA sin dall’inizio annunciato dal rombo delle Frecce Tricolori che, ascoltato dal vivo, è pelle d’oca pura. E mentre quelle Frecce volavano via io mi sono ritrovato dritto al primo giorno d’asilo nella scuola Guido Alessi di Via Flaminia in Roma. A 5 anni faccio finalmente la mia prima cosa “da solo”: una porta si apre in un corridoio di quella scuola ed entro in una classe senza banchi ma con un pianoforte verticale scalcagnato suonato con veemenza da una ancora più scalcagnata signora che intimava ad altri miei futuri colleghi di classe d’intonare insieme a lei una canzone. Il titolo era “Fratelli d’Italia”. Questa marcia, facilissima da cantare, si è quindi fatta strada in quel cervello cinquenne con una facilità estrema. La signora urlava, noi dietro a lei, in una parola era fatta! E quando te lo dimentichi l’inno nazionale una volta che lo impari così? Mai! Insomma un imprinting in piena regola. Ecco perché la festa del 2 giugno è un appuntamento fisso della nostra memoria. Di tutti. Tanto che solo pochi anni fa, nella notte del primo giugno, il mio amico Paolo Infascelli mi fece scoprire dove si trovavano TUTTI i mezzi che avrebbero sfilato la mattina successiva: tutti parcheggiati lungo la Cristoforo Colombo per chilometri e chilometri. Di notte, carrarmati e aeroplani, ambulanze, mezzi tecnici, insomma l’ESERCITO, sta lì pronto che riposa: pazzesco! E anche un po’ pauroso, devo dire: un dietro le quinte di un grande show che si appresta ad andare in scena la mattina dopo, quando, tra tutti quei battaglioni cercheremo con lo sguardo la mascotte, quel cagnolino che, secondo me, fa la vita più bella del mondo. E ditemi se per una sola volta nella vita non abbiamo mai pensato di essere noi accomodati su quella splendida Flaminia 335 dalla quale il Presidente Napolitano ha salutato tutti. Insomma il cerimoniale ha quel non so che di teatrale che mi è sempre piaciuto e che tutto sommato una funzione in questi tempi troppo informali ce l’ha ancora: quella di farci credere in un paio di valori da coltivare senza avere niente in cambio. Un bambino all’asilo non si fa tante domande ma quarant’anni dopo ancora si commuove al passaggio di una banda e se poi quando arrivano i Bersaglieri gli si gonfia il petto dall’emozione che vi devo dire? W l’Italia!
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