domenica 11 settembre 2011
Quando finisce un'estate
Dall’oggi al domani, è così che finisce l’estate. Non rispetta la sua data ufficiale delle cose tipo equinozio e solstizio (la differenza la sai solo alle elementari, poi te la scordi insieme alla tabellina dell’8 e ad altre centinaia di cose che impari troppo presto). Non aspetta il ritorno dalle vacanze, (si torna a lavorare, ma l’estate non è finita, te ne accorgi dagli impiegati di tutti gli uffici vestiti come in uno stabilimento pur di sfoggiare il tatuaggio nuovo). Non aspetta nemmeno il cambio del tempo (può venire giù il finimondo, ma un’ora dopo fa caldo di nuovo). No, l’estate fa come le pare, e quindi improvvisamente finisce, senza preavviso. Ti alzi una mattina, ti fai la doccia, vai in ufficio, leggi le mail, lavori, pausa pranzo, telefoni, brighi, palestra, spesa, figli, cena, letto e il giorno dopo ricominci da capo mentre l’estate finisce, da sola, dentro di te. Magari il barista non ti ha fatto lo stesso saluto, o per un momento l’hai visto che non si ricordava qual era il “tuo” solito; forse al supermercato cercavi le pesche e hai visto che ci sono già le arance (dall’Argentina); ti hanno fatto una multa al motorino e cercando un vigile dal volto familiare scopri che li hanno cambiati tutti quando tu non c’eri (che è un po’ come se ti cambiano la maestra all’ultimo anno). In tutti questi microtraumi ti sembra di fermarti, in trance, sull’orlo di un precipizio: sei salvo, ma stavi per morire. È quindi quell’attimo immenso che ti vede riflettere in un limbo bianco nella tua testa quando tutto attorno a te sembra avvolto dall’oscurità più profonda. È finita l’estate, se ne è andata anche quest’anno, l’estate si è rotta, l’estate, in una parola, è morta. Questa stagione che deve la sua fortuna alle scuole chiuse, è la responsabile di tutte gli struggimenti che gli artisti da Bruno Martino (“Estate, sei calda come i baci che ho perduto”) fino a Franco Califano (“E la chiamano estate, questa estate senza te”) hanno messo per iscritto nelle loro canzoni. Quando le sentiamo ci si gonfia il cuore perché tra le pieghe di quei versi è ovvio che ci siamo noi e i nostri ricordi, soprattutto quelli più banali, come quelli di un’estate, appunto, al mare. Ma alzi la mano chi di noi, quando aveva il cervello in pappa, quando i neuroni erano ancora pronti a moltiplicarsi, non ha vissuto momenti con i grilli, le lucciole, l’aria tiepida, la risacca del mare, il pattino sulla spiaggia fredda e umida, con la biondina di chissà dove. È questo il motivo per cui sentiamo qualcosa che si rompe dentro quando l’estate ci saluta: sembra sempre un addio e mai un arrivederci. Anche perché i ricordi non saranno più quelli, così luccicanti, tanto è vero che cosa ricorderemo di quest’estate 2011? Se diamo uno sguardo ai giornali vecchi prima di buttarli nella differenziata, noteremo in ordine sparso: l’uragano Irene che ha risparmiato New York, l’Euro e le borse che invece ancora ci stanno in mezzo, e la “valanga di chimica” di Vasco Rossi. Ma oggi, 10 anni fa, l’estate di tutto il mondo finì, forse per sempre, a Manhattan.
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3 commenti:
una poesia in prosa. fatta di cose semplici, banali, che sono quelle a cui teniamo di più...quelle che ci fanno più noi.
non riesco smettere di leggere le tue meravigliose parole!
Sei bravo e hai un cuore grande come il cielo.
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