giovedì 29 marzo 2012

A portata di mano

Attaccati a una scrivania. Prendete un metro. Fatelo partire da una spalla. Misurate fino alla mano. Totale? A me 70 centimetri. Deve essere tutto a 70 centimetri. TUTTO. Quindi il telefono, il portamatite, un fermacarte, un posacenere se per caso ancora fumate (affari vostri), il computer, la stampante, i fazzoletti di carta, una candela profumata (meglio una Diptique o una Rigaud), qualche telecomando, le agendine, i Moleskine, il fermacarte con tutti i biglietti del cinema (per segnarli sull’agenda) e le ricevute delle carte di credito, e anche una bottiglia d’acqua. Tutto deve essere entro il raccordo anulare personale dal raggio di 70 centimetri perché spostare il busto per raggiungere un’altra cosa sarebbe uno sforzo troppo grande, come se un movimento in più potesse togliere quel secondo che servirebbe per altro, niente deve distrarre dall’attenzione sulla cosa che stiamo facendo come, per esempio, mettere un pensiero per iscritto. Anche i bambini, se non ce la fanno con il loro braccino a prendere quello che desiderano in quell’istante, non hanno altra risorsa che il pianto, proprio perché non riescono ad ottenere l’oggetto del loro desiderio: solo ora capisco che non è un capriccio (anche se i genitori continuano a chiedergli “ma che ci fai con quel sonaglio, che ti frega?”) ma l’improrogabile esigenza d’inseguire un pensiero per portarlo a compimento. E dare un senso a tutto, in poche parole: cominciare e finire una cosa, mettiamola così. Anche perché se mettessimo insieme tutti i secondi impiegati per raggiungere, a questo punto chiamiamolo pure “obbiettivo”, che risultato darebbe la somma? Una bottiglia d’acqua in cucina, 20 secondi; l’agendina all’ingresso 8; accendere lo stereo 5 secondi. Andata e ritorno, eh? Quindi non è certo per risparmiare tempo ma insomma solo per non essere disturbati da sciocchezze che lì vicine sono importanti solo per il fatto di essere dentro il raggio d’azione di un braccio lungo 70 centimetri. Ed è per questo che anche a tavola deve essere tutto vicino, mi piacerebbe addirittura che tutte le portate fossero già pronte lì in sequenza, come su un binario che porta dritto dritto in stazione. Alternative per avere tutto a portata di mano? Mi viene in mente solo il direttore d’orchestra, fai un gesto e chiunque esegue. Anche una sinfonia, dall’inizio alla fine, senza interruzioni. E infatti avrei voluto fare il conservatorio, ma mia madre mi disse “prendi il classico, a mamma” e ora eccomi qui a filosofeggiare...

mercoledì 21 marzo 2012

Ghostbusters

Andate a vedere il film di Ferzan. Un gruppo di attori ormai fantasma restano intrappolati dal dopoguerra in una casa di Monteverde a Roma in attesa di essere liberati da un ragazzo che diventa loro amico oggi, nel 2012. Mi chiedo: ma un regista lo sa cosa scatena nelle teste di chi poi vedrà il film, quando butta giù due righe con uno sceneggiatore? Immaginate la prima riunione: “Che ne dici di un ragazzo che prende in affitto una casa dove abitano dei fantasmi?”. E l’altro: “Perché no?”. E via! Cominciando a lavorare per farci viaggiare insieme a loro qualche mese più tardi quando una lampada si accenderà su una bobina di pellicola proiettando le loro idee sugli schermi della nostra mente, ecco perché se volete perdervi nei meandri di una storia che potevano raccontarvi in un’altra vita, dovete prendere un autobus, o meglio un tram, e buttarvi dentro un cinema dove lo fanno. Andatevelo a vedere se vi piace essere portati per mano da un uomo, Ferzan che, turco, ci conosce meglio di noi stessi, capace ogni volta di raccontarci storie davanti allo specchio per farci vedere come siamo veramente, o cosa diavolo vorremmo essere, veramente. Se volete vedere TUTTI gli attori in grado di recitare TUTTE le battute del film bene, senza una stonatura che vi distragga da tutti gli altri reparti del film: se volete rivedere Anna Proclemer e capire quanto è bello sentire i toni di voce modulati secondo le esigenze, che solo l’esperienza di una vita può far suonare in quel modo, se volete ammirare la bellezza e la giustezza di tutti gli altri (Beppe Fiorello dovrebbe uscire di casa così tutti i giorni!). Se volete vedere una serie d’inquadrature illuminate come un dipinto grazie alla bravura del direttore della fotografia, Maurizio Calvesi. Se sognate una casa come quella, scenografata a Cinecittà, ma che vi sembra proprio quella dove avete vissuto i momenti più belli della vostra vita, dove ogni angolo vi ricorda qualcosa e ha un profumo diverso secondo le ore del giorno. Se volete ascoltare le canzoni (come Perfidia cantata da Nat King Cole) che vi fanno sentire meglio all’istante e al cinema pensate a quanto siete scemi a non averle ancora messe sul vostro iPod. Se volete uscire dal film leggeri e pieni di speranza e riflettere sulla vostra esistenza e capire che veramente non è mai troppo tardi fino a quando non si scrive la parola fine, andate a vedere questo film che, come tutte le cose vere della vita, ti fa ridere e ti fa piangere. Perché se nella vita non riuscite a fare a meno dei vostri fantasmi tanto vale farseli amici.

giovedì 15 marzo 2012

On the bike

È incredibile come il primo passo che stendi sull’asfalto perché hai deciso che oggi vai a piedi, ti faccia sentire il principe della strada, ti sembra che tutti vadano più lenti di te, e credi di essere l’unico a camminare con quel passo spedito e risoluto che DA SEMPRE accompagna tutta la tua vita in qualsiasi circostanza. Quel nastro di catrame, quell’insieme ordinato di sampietrini, quel lastricato di basalto ti sembra un tappeto rosso che ti porta di filato al successo, sfila veloce sotto i tuoi piedi come un tapis roulant impazzito, e non fai in tempo nemmeno a notare i suoi cambi di superficie che sei già arrivato...
È incredibile come il primo colpo di pedale a bordo di una bici dia sempre un nuovo significato alla parola movimento. Metti la punta della scarpa da ginnastica (molti la chiamano sneakers, io non riesco) sul pedale, carichi il ginocchio indietro come per prendere una rincorsa, spingi la gamba in giù: miracolo, quella parte, e un po’ di fresco in faccia di colpo ti toglie tutti gli anni che hai accumulato da quel giorno in cui hai detto a tuo padre che ti teneva il sellino da dietro: “lasciami, ci so andare da solo!”. Ti sorprendi a suonare quel campanello in un modo diverso dal clacson, questa volti SEI TU che passi, non la tua macchina, ti viene in mente che comunque è meglio il “drin-drin” che il “ding-dong”, e lasciamo stare la sensazione che provi a risentirlo, perché lo sguardo invidioso degli altri pedoni al tuo passaggio è troppo gratificante: domani dovranno tirare fuori la bici anche loro...
È incredibile come il primo colpo che dai con la mano serrata a tavoletta in una piscina ti faccia sentire libero come un pesce anche nel chiuso di una vasca da pochi metri, ti basta un costume da bagno e un paio di occhialetti, per il resto sei solo tu e l’acqua che ti circonda come una vita fa nel grembo materno. È solamente mentre nuoti, grazie a quei movimenti che ancora ti stupisci di avere imparato troppo tempo fa, che ti senti addosso tutto quello che sei con pregi e difetti ma, guarda un po’, più leggero, meno pesante
(grazie al principio di Archimede, che ti torna in mente pure quello). Bracciata dopo bracciata, a prescindere da quanto ci metti, ti sembra che avere l’acqua nelle orecchie sia l’unico momento della tua vita in cui ragioni davvero: ti serve quel gorgoglìo per capire che nella vita alla fine basta muoversi. E da oggi è il tuo principio. Come quello di Archimede!

PS: nella foto un uomo in bicicletta

mercoledì 7 marzo 2012

Quell'estate dell'anno che verrà...

Immaginate una nonna che, per esaudire un desiderio del nipote ottenne, si rechi in un negozio di dischi il cui commesso era il figlio del portiere, per trovare la sigla di un programma tv condotto da tale Lucio Dalla e si metta addirittura a cantare “lettera X dov’è il segreto di Asterix?”. Niente! Oggi che “Fumetto” (tratto dall’album “Terra di Gaibola”) è un mp3 sull’iPod, facciamo i conti con le canzoni di Lucio Dalla che dall’infanzia ci hanno accompagnato nella vita. Per esempio “L’anno che verrà”, uscito da un giradischi davanti agli amici della prima estate che meritasse quel nome, l’estate dove potevi tornare tardi la sera, la notte, tanto era casa di zia e lei lo permetteva. Quella musica ti faceva guardare una ragazza negli occhi come forse poi non sei più riuscito a fare e come ancora oggi ti auguri di guardarne un’altra. Era l’estate nella quale ridevi, ridevi, e ridevi. Ridevi di tutto: di un motorino che cade dal cavalletto, di un pezzo di pizza che scotta, di una notte in bianco, di uno scherzo che ti hanno fatto o che magari hai fatto tu. E ogni volta che riascolti questa canzone senti che non hai più niente che ti faccia ridere così tanto e improvvisamente cominci a piangere. Nel “1983” forse stavi già lavorando anche se molti non la pensavano così e quella canzone ti accompagnava dalle cuffie di un walkman che ti eri comprato con i primi soldi tuoi. E con quelle note nell’orecchio, nei primi ascolti in solitaria, la testa ti girava a mille perchè ti sentivi ricco visto il tempo che avevi davanti e i mille scambi in stazione ti davano la sensazione di poter scegliere qualsiasi binario per vedere dove poteva portare. E poi “Caruso” che ascoltata proprio da quella nonna ti ha permesso di dirle “ti piace, vero? L’ha scritta quello che cantava “Fumetto” quando ero piccolo...”. E quella canzone ha messo d’accordo almeno tre generazioni. E mettere d’accordo la gente è un’arte che non tutti sanno praticare, anzi. Ecco perché poi in un momento della tua vita in cui stavi facendo qualcosa qualcuno ti ha dato la notizia che Lucio Dalla non c’era più, ti è venuto da piangere. Perché in un momento immenso hai rivisto tutti gli anni che sono passati da quella sigla ascoltata in tv, passando per quell’estate e tutto quello che c’è stato dopo. E ti accorgi che andare d’accordo con la gente che ti sta attorno è sempre più difficile ma forse è l’unica cosa che dovresti fare.

giovedì 1 marzo 2012

L'ultima luna

Questa canzone, “L’ultima luna” di Lucio Dalla, l’abbiamo sentita per la prima volta quando un amico ce l’ha fatta ascoltare una notte nella sua macchina, una mini 90, buttata nel parcheggio di un brutto camping. Io questa storia delle lune non le ho mai capita con quel testo che, boh, però questo giro era da paura e ci ha fatto sempre da colonna sonora quando qualcosa d’importante ci capitava nella vita, facendoci pensare che forse avevamo imparato una lezione. Forse era una di quelle lune quando dopo un’intera settimana a chiedere il permesso di fare una gita a Todi con tutti i compagni di classe, alla fine, la sera prima della partenza mi sono preso la febbre a 40 e da quel momento li ho “persi” tutti. E quando poi finalmente sono riuscito a fare una gita con loro non era più la stessa cosa, perché mi ero perso quella prima e quindi non avevo quei riferimenti. E abbiamo imparato pure questa... Forse era una di quelle lune quando a quella ragazza che mi piaceva veramente non sono riuscito a dirglielo ma le ho regalato un anello! E lei ha capito che volevo sposarla! Ma io no, e non sapevo come dirglielo, nemmeno questo, insomma né sì né no, né troppo né troppo poco, e mille equivoci e lei l’ha buttato via, io l’ho raccolto ma non potevo darlo a nessun’altra e quando poi l’ho ritrovato in un cassetto l’ho buttato io. E abbiamo imparato pure questa... Forse era una di quelle lune quando finalmente abbiamo conosciuto la ragazza giusta, ma era troppo presto, o troppo tardi, o non ci andava, o non le andava, insomma non è diventata la donna della nostra vita ma forse lo era e una mattina dal tempo incerto abbiamo capito che era lei. Ma il giorno dopo il tempo era bello e abbiamo capito che non era lei. Ma alla fine bello o brutto ci pensiamo tutti i giorni. E abbiamo imparato pure questa... Forse era una di quelle lune quando quella volta eravamo all’ospedale perché c’eravamo fatti male sul serio, e in camera, quando ormai non si può più, quando si è fuori orario, e tu hai già cenato e ti viene da piangere da solo lì dentro, si apre la porta ed entra l’ultima persona che volevi vedere, perché lo odiavi per mille motivi ma in quel momento non te ne viene in mente nemmeno uno. E abbiamo imparato pure questa... Quando ti sei sentito veramente solo, e senza più una motivazione, e non riuscivi nemmeno ad alzarti dal letto, e non volevi vedere nessuno. È in quel momento che pensi che tutto quello che hai fatto non ti è mai piaciuto e forse non è servito a niente e pensi che magari ormai è andata così e tanto vale lasciarselo alle spalle. Ma mentre lo pensi ti prende un colpo quando senti una mano sulla spalla che ti fa girare e vedi uno che ti guarda e ci metti quel secondo in più che serve a un cervello stanco per capire che è lui, quell’amico di tanto tempo fa che ti aveva fatto conoscere l’ultima luna. E ha la stessa faccia che aveva quella sera nel parcheggio dentro la mini 90.