mercoledì 24 luglio 2013

Gratitudine.com

La leggenda vuole che un ragazzo, tale Michael Bublé, venisse ascoltato durante una serata privata da Amy Foster figlia del famosissimo producer discografico David, cui il giorno dopo disse:
- Papà, devi sentire questo come canta, fa le canzoni di Sinatra...
- Un crooner...
- No. Si chiama Michael, lo devi senti’, chiamalo!
Il padre non perse tempo a spiegare alla figlia la parola “crooner” e diede un appuntamento a Bublé. Effettivamente il ragazzo ci sapeva fare, belloccio, canadese come lui, Foster si fece dare 500.000 bigliettoni e gli disse “a te ci penso io!”. E infatti, una carriera fantastica, no? Esce quindi il primo disco di Michael Bublé, prodotto da Foster. Ecco la dedica: “Essendo canadese lavorare con David Foster è stato un mio sogno fino a quando ero bambino. Lasciati dire che è stato molto meglio di quanto m’aspettassi. Grazie per la tua guida. Oggi posso considerarti non solo un mentore ma anche un amico.”. Bella, no? Affettuosamente rispettosa. Ottime vendite, esce il secondo disco, quello con “Home” (tra l’altro scritta proprio con Amy Foster, che vorrà di’?). La dedica è questa: “A David Foster (e altri producer del disco) lavorare con voi è una gioia e un piacere. Non siete soltanto miei amici ma anche i miei mentori e insegnanti.”. Benissimo. I successi mondiali proseguono ed ecco il terzo album. Non c’è una dedica personalizzata per David Foster, che compare in un generico elenco di “speciali ringraziamenti” in cui figurano anche gli elementi della band che si fanno con lui il mazzo tutto l’anno in giro per il mondo e che sono disposti a farselo, lui lo sa, per altro tempo ancora (e vorrei vedere), poi Emily Blunt, che all’epoca era la sua ragazza, poi la sua famiglia... insomma un po’ tutti tra affetti e lavoro, via, non c’è tempo per i salamelecchi. Arriva il 4° disco, eppure per David Foster il trattamento è lo stesso, sempre negli “speciali ringraziamenti”. È cambiata la ragazza: Luisana Lopilato, sua futura moglie (ma Michael ancora non lo sa...). Quinta opera: è l’album strenna, quello natalizio e Michael ringrazia i suoi producer, che sono tre, attenzione: David Foster ovviamente, Humberto Gatica (storico anche lui) e Bob Rock, per il LORO genio (di tutti e tre quindi, anche se Rock è giovane quanto Michael), e specialmente per il loro coraggio per fare questo disco alla maniera della “vecchia scuola”. Si riferisce al fatto che il “White Christmas” di Bing Crosby, ascoltato da piccolo, gli fece capire che da grande avrebbe voluto fare il cantante jazz. Passa il tempo, e finalmente, tre mesi fa, esce il nuovo album di Michael Bublé: David Foster NON C’È. In nessuna piega del libretto che accompagna il cd. E a Bob Rock (quello dell’album di Natale, suo nuovo producer, dice: “Amico mio, tu sei il più grande producer che abbia mai visto. Sei un umile e versatile genio. Per farla facile tu sei The Dude.”. Che è un complimento “fico”.
Quindi io mi chiedo: che è successo a quel ragazzo che appena 10 anni fa, sono pochi e sono tanti, stava in un angolo di una festa a bere un gin tonic con i camerieri in attesa di cantare “Strangers in the night” in un salotto? Sono bastati 10 anni per cambiare le parole, per non saperle più distinguere, per non utilizzarle a loop come un’avemaria? “Genio”, “mentore”, “amico”, “il migliore”, tutto in un frullatore?
Sì, sono bastati, perché come diceva qualcuno: nacqui, vissi, e mi contraddissi.

PS: nella foto non c'è Michael Bublé