Sì, certo. Ci sono andato, c’ero. C’ero a quella festa dei
miei 20 anni, quando pensavo che
tutto era possibile, quando quelli di 30 mi sembravano grandi e quelli di 40 mi
sembravano vecchi.
Sì, ero io a prendere quella ragazza per mano e a sentirmi
importante quando mi sorrideva, perché poi ero sempre io a ridere di una
sciocchezza che non ho più sentito in vita mia.
Sì, ero io a prendere la pioggia a qualsiasi ora senza
parabrezza sul vespone ormai senza miscela pregando di farcela ad arrivare a
casa.
Sì, ero io che guidavo la Golf di mio padre per andare a
prendere quattro amici di classe e andare in giro per... boh, andare in giro
così, per andare in giro, e basta.
Sì, ero io a prendere i posti al cinema lanciando la cerata Henry Lloyd su dieci poltrone per dieci amici che tardavano, perché
lo sapevano che ero disposto a litigare con tutti quelli che avrebbero voluto
sedersi (giustamente!) senza aspettarli.
Ero io a fare il primo lavoro della mia vita con il “capo”
che mi guardava mentre mi dava la prima paga facendomi sentire miliardario.
Ero io a piangere di rabbia quando non trovavo le parole per
esprimere un disagio che sentivo insormontabile.
Ed ero io anche a rimanerci male per un sogno che mi
sembrava di stringere in una mano e invece era già scivolato via mentre contavo
i primi no, qualche sì, e tutto quello che c’è in mezzo...
Quella festa dei 20 anni, nel senso che avere 20 anni
comunque è una festa, è stata quella della vita! Ero invitato non sapevo da chi,
perché non mi rendevo conto che la stavo organizzando io.
E allora ecco perché invece sono andato a quella festa di
lunedì 30 marzo scorso, a sentire gli Spandau Pallet. Per capire finalmente
dopo 30 anni che io, noi, loro, eravamo ancora lì, con quei sentimenti che non
chiamiamo più sogni perché non si può più chiamarli così, ma... che strano:
sono palpitanti, pieni di speranza, di dolori, di coscienza e di
consapevolezza. Quella che ci ha fatto prendere una macchina, parcheggiarla,
mangiare un panino con la porchetta con una coca light, entrare al Palaeur (che
oggi si chiama Palalottomatica), fare la fila davanti a poliziotti ventenni che
ci guardano increduli, per fare le scale e poi scenderle per andare in platea e
urlare a Tony Hadley, che noi e i
nostri 20 anni di quella festa erano ancora lì sotto, in quel parterre.
PS: ma per la cronaca, a sentire gli Spandau, io ero anche
quella sera negli anni 80 al Much More (che prima era un cinema, poi una
discoteca, e poi adesso di nuovo cinema), e Tony Hadley era già lì. Con me.