Amico mio, c’è una domanda che voglio farti: cosa pensavi oggi,
30 anni fa, quando DOVEVI fare il militare (per altro nella tua città) e ogni
volta che uscivi dalla caserma pensavi che stavi buttando il tuo tempo?
Avevi una macchina prestata da tuo padre che ti permetteva
di correre a casa, dalla tua ragazza? Cos’era che ti faceva imbestialire in
quel traffico delle sette di sera tornando a casa dopo il turno? So che facevi
un gioco incredibile tra cambio, frizione e freno che solo perché era una Golf
non si è sfondato tutto (o forse sì) e tu urlavi dall’abitacolo a chiunque non
capiva le tue traiettorie (e come poteva) frenando all’improvviso, sgommando di
rabbia per ribadire che tu ci avevi visto giusto, suonando il clacson per
rimproverare la disattenzione altrui ai tuoi disegni delle magnifiche
traiettorie che vedevi solo tu, solo per tornare il prima possibile a casa e
fare una doccia, la tua doccia, per lavarti via tutta quella giornata uguale
alle altre, e fare finta che nelle ultime 12 ore non fosse successo niente, e
indossare una faccia presentabile a quella tua ragazza che ti aspettava con gli
occhi ardenti e fare il maschio quando ti chiedeva come è andata oggi,
rispondendole tutto ok, non è successo niente, quando invece avevi sofferto
come un cane in mezzo a gente che non conoscevi, che con te non c’entrava
niente e che non avresti mai più rivisto nella tua vita. Anche se con loro
avevi passato il Natale, il Capodanno, la Pasqua e non con lei, e l’unico amico
tuo era quel telefono a gettoni in fondo al corridoio del corpo di guardia che
era diventato la tua casa per 12 ore al giorno (tu solo sai che quando la
cassetta dei gettoni era piena il telefono non funzionava più ed eri riuscito
ad avere il numero di casa di chi la svuotava per dirgli di venire il prima
possibile, perché tutti voi lì dentro eravate isolati dal resto del mondo).
In quelle notti, quando tornavi infrangendo i limiti di
velocità perché pensavi solo a lei, c’era una musica che ti accompagnava e che
ti faceva sentire un eroe: era una musica triste, quella musica che si addice
agli eroi, e ti faceva pensare che tutto quello che di penoso stavi passando
non serviva a niente ed era solamente una perdita di tempo. Pensavi che nella
tua vita non ci sarebbero mai più stati momenti così, ti sbagliavi perché poi,
a ben vedere, nella tua vita questa musica e le sue suggestioni ti hanno sempre
accompagnato, ma quei momenti hanno cambiato faccia, nome, sono diversi, e oggi
si chiamano responsabilità. Tutte quelle che (forse anche giustamente) hai
scansato sgommando per tornare in quella casa, per quella doccia, tra quelle
braccia, ora ti sono di nuovo accanto, ora che hai trent’anni di più.
Il giorno del congedo, ti sei ritrovato da solo, dopo 365
giorni, davanti all’armadietto che aveva custodito il tuo costume di scena di
un anno, la divisa l’hai regalata a quel caporale che sarebbe rimasto e la tua,
insieme a tutto il resto del corredo, gli avrebbe fatto comodo. Tu non avevi
gli strumenti per riflettere che stavi regalando un pezzo di te, perché quella
divisa era tessuta di te e dei tuoi pensieri e chissà che qualcosa del tuo
dolore e della rabbia non gli sia rimasta appiccicata addosso...
Ma cosa importa? Oggi, ti piaccia o no, non sei più quel
ragazzo che combatte con una Golf nel traffico della tua città per non far
tardi a casa ma un uomo che sa che gli ostacoli che evitava, oggi sono i suoi
migliori amici. E quella musica da eroi glielo ricorda ogni volta che la sente.
Nell’iPod.
2 commenti:
Adoro le immagini che sai evocare, così precise in poche righe. Mi fanno pensare alla vita trascorsa dei miei genitori, mi rendono nostalgica di un'epoca che non ho vissuto..e lo adoro!
Grazie
Che ragazza fortunata!
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